Giorgio Napolitano è stato una delle figure di maggiore rilevanza della politica nazionale. Dalla militanza nel Pci alla presidenza della Repubblica Italiana ha attraversato decenni di storia, avendo anche la capacità di influenzarla con le sue scelte.
La sua vicinanza alla Sardegna non ha riguardato solo le visite istituzionali ma anche il rapporto tenuto con un sardo, Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano dal 1968 al 1984. Un rapporto feroce, su due fronti opposti, che vide esplodere durante gli anni 80′.
Tutto nasce da una intervista rilasciata da Berlinguer a Scalfari, dove il leader sassarese parla della questione morale e “dell’orgogliosa riaffermazione della nostra diversità”. Quelle parole vennero viste come un attacco nei confronti della corrente “Migliorista” del Pci, di cui Napolitano era l’esponente più autorevole.
Il futuro Presidente della Repubblica rispose vergando un editoriale di dissenso su L’Unità. È l’agosto del 1981. In quell’occasione Napolitano accusò Berlinguer di “settarismo” e di “elitismo”, usando una serie di riflessioni di Palmiro Togliatti. Un affronto che mai era accaduto nel Pci. Infatti fino ad allora gli scontri nel partito si erano quasi sempre consumati al suo interno in lunghi dibattiti.
Quel giorno il rapporto tra i due si ruppe definitivamente. Le posizioni divennero completamente distanti, a tal punto da portarli in contrasto su tanti temi (dalla riforma della scala mobile all’alleanza con il Psi, fino all’atteggiamento verso i governi di quegli anni).
Come raccontato da Miriam Mafai, la discussione fu così aspra che Napolitano scrisse una lettera per dimettersi dalla presidenza del gruppo parlamentare del Pci. Lettera che non venne mai consegnata: Berlinguer morì da lì a poco, il 7 giugno del 1984.
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