Camicia azzurra e un sorriso che toglie il fiato. Così si presenta l’attore hollywoodiano Dominic West all’incontro con la stampa, organizzato venerdì 23 giugno, in occasione della sesta edizione del Filming Italy Sardegna al Forte Village di Santa Margherita di Pula.
Con un British Academy Award come migliore attore in tasca e tante fortunate interpretazioni in serie tv come “The Wire” e “The Affair”, il successo per l’attore britannico arriva con la celebre serie Netflix “The Crown” dove veste i panni del principe Carlo – oggi re Carlo III – nella quinta e nella sesta e ultima stagione in arrivo sulla piattaforma streaming il prossimo autunno.
Un compito non facile, dato il poco appeal che il primogenito della regina Elisabetta II ha sempre suscitato tra il pubblico locale e internazionale: prima in seguito al divorzio da Diana Spencer, e le voci di ripetuti tradimenti con Camilla Parker Bowles, poi dopo il tragico incidente stradale del ‘97 in cui l’amatissima principessa del Galles perse le vita.
Ma lasciate per un momento da parte le aspre critiche della stampa inglese, com’è stata accolta la serie tv dal pubblico statunitense? “Sono rimasto due giorni a letto per leggere le recensioni della quinta stagione di The Crown, e non mi sono alzato per le successive 24 ore perché la maggior parte dei critici aveva scritto che non ero adatto al ruolo – confessa West -. Non avevano torto, perché non somigliavo per niente al principe Carlo, e di questo ne ho anche parlato con lo sceneggiatore Peter Morgan. ‘Mi sa che avete scelto l’uomo sbagliato’, gli ho detto. Lui mi ha risposto: ‘The Crown non è un’imitazione della realtà ma una sua interpretazione’. È in quel momento che mi sono reso conto che potevo far mia la parte”.
“Adoro il mio personaggio, i suoi valori e tutto quello per cui ha lottato nella vita – continua l’attore hollywoodiano -, e credo che la sua vita abbia qualcosa di epico. È stato molto affascinante concentrarmi su questa sua caratteristica, quindi non mi importa di quello che è stato detto o scritto sulla mia performance”.
Del resto, buona parte del pubblico si aspettava una serie tv con maggiore attinenza alla cronaca. “La Royal Family è continuamente al centro di libri, film, serie e miniserie tv – dice West -, soprattutto la principessa Diana, e la ragione per cui si parla molto spesso di The Crown è la sua autenticità. C’è tutto un reparto che studia, legge, si documenta, e che quindi fa sì che le scenografie, i costumi e gli oggetti di scena siano fedeli alla realtà, e proprio per questo hanno costi piuttosto alti. Sono dettagli che contribuiscono a dare un’impressione di verità allo spettatore – aggiunge -, e se questa verità venisse a mancare, i temi che The Crown tratta perderebbero di attrattiva, perché la serie racconta il quotidiano non di persone comuni ma di re e regine. Il realismo e la cura del dettaglio ci consentono di sentirci più vicini ai personaggi e di entrare nel loro privato”.
Nelle ultime due stagioni della serie Netflix, si tratta dei momenti più difficili e controversi della vita del principe Carlo, quando l’idillio amoroso più chiacchierato del secolo arriva al capolinea e il reale inglese non gode di grande stima, anzi, viene più volte incolpato dello stato di depressione in cui visse la principessa Diana. “Le ultime due stagioni di The Crown parlano soprattutto di lei – dice West -, sono le due stagioni più controverse e drammatiche della serie, ed è stato difficile farle, perché molte persone sono protettive nei confronti di Diana e della sua eredità, e gli inglesi si sono divisi fra coloro che sostenevano il divorzio fra lei e il principe Carlo e chi invece lo trovava disdicevole. E dato che l’azione si svolge in un passato recente, moltissime persone se ne ricordano benissimo, quindi ci siamo dovuti davvero impegnare, anche perché per noi era fondamentale fare bene la serie e rendere giustizia a Diana. Credo che Peter Morgan abbia sempre cercato di essere rispettoso e di rimanere super partes. Lui è partito dalla domanda: com’è possibile che il matrimonio più grandioso della storia, oltre che il più romantico e da favola, sia giunto a termine in un’aula di tribunale? Penso che sia un’ottima premessa drammatica esplorare le ragioni per cui l’unione si è rivelata fallimentare, e poi c’è la morte di Diana, altro momento molto triste per l’Inghilterra”, dice l’attore.
Nel frattempo c’è stato un altro grande evento storico: l’incoronazione del principe Carlo. Quanto ha influito sulla sceneggiatura della sesta stagione di The Crown? “Molte cose in effetti sono accadute mentre giravamo l’ultima stagione – conferma West – il principe Carlo è diventato re, cosa che non eravamo certi sarebbe successa. Dopodiché è uscito il libro del principe Harry – fatto di non poco conto, concordano i giornalisti presenti all’incontro – ma è stato interessante, perché ho fatto un bel po’ di scene insieme a mio figlio, che non interpretava Harry ma William, in cui era evidente l’amore che ci legava, mentre Harry nel libro ha scritto che suo padre non abbracciava mai i figli. Tra l’altro ho girato da poco la scena in cui gli comunico che sua madre è morta, e l’abbiamo fatta in maniera molto diversa da come Harry la ricorda, ma non l’abbiamo cambiata. The Crown, del resto, non è un documentario ma una finzione, ma magari anche il libro di Harry lo è”, dice scherzosamente West.
C’è un tratto caratteriale del sovrano inglese, spiega poi l’attore hollywoodiano, che ha voluto far emergere più di altri. “Ho incontrato Carlo una o due volte, e tutte le persone che ho conosciuto che lo hanno incontrato – e vi assicuro che ha conosciuto molte più persone di sua madre – mi hanno parlato di lui mettendo in evidenza la sua umanità, il suo essere una persona affettuosa e umile in molte situazioni. Su questo ho voluto insistere in The Crown. Volevo che venisse fuori il suo essere un padre affettuoso, per me era molto importante perché spesso viene rappresentato, al contrario, come un uomo freddo e un padre distante”.
Siamo alla fine dell’incontro, c’è ancora un’ultima domanda per West che ci dice interpreterà il re Carlo II d’Inghilterra in “Monstrous Beauty”, film scritto e diretto da Romola Garai. Ha qualche rimpianto professionale? “Mi dispiace non aver fatto abbastanza opere di Shakespeare a teatro – dice in conclusione West -. Ormai ho un’età che non mi permette di interpretare determinati ruoli, Amleto per esempio. In realtà sono stato Amleto, avevo 17 anni, ma rimpiango ugualmente e tanto di non aver recitato in abbastanza commedie e tragedie di Shakespeare”.
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