A Cagliari, la statua di Carlo Felice è stata addobbata di rosso e blù e ribattezzata “Claudio Felice”, in suo onore. Sir Ranieri, sette giorni fa, ha concluso un capolavoro a cui pochi avrebbero creduto sette mesi fa. “Risorgeremo” aveva detto: una profezia avverata.
Il Cagliari si portava dietro le scorie di diversi anni di difficoltà. Salvezze arrivate all’ultimo, esoneri, un ambiente un po’ viziato da sfiducia e contestazioni. Poi la retrocessione e l’arrivo di Liverani, che ha dovuto navigare controcorrente con problemi personali e quella B poco digerita da tutti.
Ranieri è arrivato a Cagliari senza preconcetti. Guardando dritto all’obiettivo, da raggiungere senza guardarsi alle spalle. E se anche non fosse stato raggiunto, non ci sarebbero dovuti essere rimpianti. Ha investito la squadra e l’ambiente tutto di una nuova mentalità, più battagliera, più adatta allo spirito del popolo sardo.
Aveva il curriculum giusto per responsabilizzare ogni singolo calciatore in rosa. Li ha fatti giocare tutti, traendo le conclusioni per i playoff. A quel punto ha giocato chi doveva, anche a costo di esclusioni eccellenti (leggere alla voce Rog e in parte Pavoletti). I ragazzi hanno capito che l’importante è raggiungere lo spirito di gruppo e non solo il vantaggio personale. La Serie A raggiunta ha regalato una allegria senza fine.
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