La Festa del Lavoro, celebrata lo scorso Primo Maggio, è l’ultimo atto di una lunga lotta per i diritti dei lavoratori che ha preso il via dalla Sardegna con il primo sciopero generale che, nato dai moti di Buggerru, ha portato alla nascita del movimento sindacale.

Era il quattro settembre 1904 quando i quasi tremila minatori sardi che lavoravano in stato di semischiavitù nelle miniere di Buggerru si ribellarono ai soprusi e incrociarono per la prima volta le braccia. I dirigenti della società francese che gestiva la miniera e le terre circostanti con la connivenza dei potentati pubblici sulcitani chiesero l’aiuto delle autorità piemontesi che dalla vicina Iglesias mandarono a Buggerru due compagnie di fanteria che attaccarono gli scioperanti. L’indignazione per questo scontro, che si concluse con un bilancio di tre morti e decine di feriti, portò alla proclamazione del primo sciopero nazionale tenutosi il successivo 16 settembre 1904.

I minatori sardi – nel primo Novecento l’estrazione del carbone era l’unico sbocco industriale in Sardegna – sono stati i primi a pagare a caro prezzo la lotta per la difesa dei propri diritti. I libri di storia sarda parlano di una situazione divenuta intollerante, con i dirigenti della Societé anonime de mines de Malfidano (la società francese che gestiva la miniera di Buggerru) che spadroneggiavano nel territorio con la connivenza dei potenti del luogo. Acquistavano alloggi e spacci locali e spremevano come limoni i poveri minatori che spendevano tutto il loro salario per sopravvivere. I lavoratori si illudevano di avere un salario ma erano invece indebitati fino all’osso con il proprio datore di lavoro che li trattava da schiavi. La goccia che fece traboccare il vaso era stato un aumento ulteriore dell’orario di lavoro con l’erosione di un’ora di pausa pranzo che aveva reso insostenibile e faticosissima una giornata di lavoro in miniera.

I moti di Buggerru raccontano una Sardegna dove i poveri erano sfruttati da padroni potenti che avevano in mano le leve del potere, in cui i feudatari sfruttavano la povera gente con il placet delle istituzioni e delle lobby economiche. Raccontano di autorità locali che cercavano di attribuire agli stessi manifestanti la responsabilità dell’accaduto. E di un giornale, l’Unione Sarda del tempo, gestito da imprenditori che non avevano alcun vantaggio a schierarsi dalla parte dei poveri minatori, che relegava la notizia dei moti in un brevissimo articoletto di venti righe in seconda pagina. La storia racconta che la reazione delle istituzioni è stata spietata e che decine di scioperanti sono stati arrestati come pericolosi banditi e fatti sfilare nel centro di Iglesias, come monito per gli altri lavoratori.

La risposta del movimento operaio a livello nazionale, come detto, non si fece attendere ed il 16 settembre venne indetto l primo sciopero generale nazionale, che vide l’adesione di tutto il popolo lavoratore italiano. Ma anche la risposta padronale non si faece attendere e fu pesantissima. Il Re sciolse il Parlamento per indire le nuove elezioni nel tentativo di scaricare sul neonato movimento dei lavoratori il livore di tutta la piccola e media borghesia e dei ceti di campagna che si sentivano insidiati dal proletariato.

Ma è proprio in quelle elezioni, svoltesi in un clima da vera e propria caccia all’operaio, che si consolidarono le posizioni del giovane Partito Socialista Italiano, costituitosi nel 1892. Nonostante l’ostracismo dell’informazione dell’epoca, il movimento liberale si dovette arrendere al movimento dei lavoratori. E con l’inizio dell’epoca giolittiana la borghesia dovette finalmente fare i conti con la forza del movimento organizzato dei lavoratori.

Dall’eccidio di Buggerru e dal sacrificio di quei lavoratori nacque dunque la consapevolezza della forza della giustizia. La lotta portò immediatamente dei risultati tangibili nel Nord Italia, dove i movimenti operai affermarono maggiormente e la coesione dei lavoratori era più temibile. Mentre in una Sardegna ancora rurale la classe operaia rimase ancora a lungo una minoranza. Fino agli anni della Rinascita.

Ma a quegli operai guidati dai primi leader come il socialista Giuseppe Cavallera, tutti i lavoratori devono un omaggio e un grazie. Anche se forse in molti posti di lavoro lo sfruttamento non è mai finito e la prepotenza la fa ancora da padrona.

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