“Vi sono i gruppi reazionari che non vogliono arrendersi all’evidenza della Storia. Essi non sognano che la reazione, la reazione a tutti i costi, anche a costo di rovinare definitivamente l’Italia”. Così Emilio Lussu interveniva alla vigilia del referendum nazionale del 2 giugno 1946 che chiamò gli italiani a scegliere se continuare a stare in un regime monarchico o iniziare una nuova strada repubblicana.
L’esponente del Partito sardo d’Azione, diventato una vera e propria leggenda dopo le sue imprese durante la Prima guerra mondiale alla guida della Brigata Sassari, non esitò fin dal primo momento ad opporsi al movimento fascista tant’è che entrò a far parte del comitato che guidò la secessione dell’Aventino, dopo il discorso del 3 gennaio 1925 con cui Benito Mussolini riprese il pieno controllo della situazione.
Ma questa sua posizione, così apertamente schierata, non fermò le voci di una sua prossima adesione al fascismo, alle quali Lussu reagì duramente comunicando ai quotidiani locali che sarebbe restato “irriducibilmente solidale con quelli che oggi in Italia combattono arditamente per la libertà contro il fascismo”.
Il 31 ottobre 1926 i fascisti assediarono la sua abitazione a Cagliari. Lussu riuscì a salvarsi uccidendo, con un colpo di pistola, uno degli assalitori e mettendo in fuga gli altri. Subito dopo l’arresto e il rinvio a giudizio per omicidio volontario, per cui trascorse parecchi mesi in carcere fino a che, il 22 ottobre 1927, fu assolto in istruttoria avendo agito per legittima difesa. Ma invece che venir rimesso in libertà, Lussu venne condannato a cinque anni di confino e inviato, il 17 novembre, nell’isola di Lipari.
Da qui un lungo percorso, che lo portò dapprima ad aderire al gruppo antifascista Giustizia e Libertà, poi al suo disconoscimento perché, disse Lussu, “io sono socialista e voi non lo siete: ecco tutto”. Poi l’avvio di una politica di unità d’azione con la vittoria nel 1936 dei fronti popolari in Spagna e in Francia e la solidarietà con la Repubblica spagnola.
Dopo circa due anni di silenzio sui giornali di partito, e la malattia polmonare che lo aveva bloccato nei sanatori svizzeri, tornò a gran voce sulle colonne del quotidiano clandestino “Giustizia e libertà” dove rilanciò lo slogan del fondatore del gruppo antifascista, Carlo Rosselli: “Oggi in Spagna, domani in Italia”, in riferimento ai moti popolari che avevano investito i vicini iberici.
Dopodiché si riavvicinò al Partito sardo d’azione per iniziare dall’interno la sua battaglia di classe vicina agli ultimi in nome di una libertà tutta democratica. Niente a che vedere, quindi, con l’ideologia fascista che si dimostrò nel corso del ventennio del tutto illiberale. Per Lussu, “la libertà altro non è che la somma risultante dell’insieme di specifiche libertà, individuali e collettive, sociali e politiche”. In definitiva, scriveva ancora l’esponente sardista, “libertà e diritti sono sinonimi”.
Dopo la Liberazione di Roma, Lussu fece ritorno in Sardegna, dove fu accolto da grandi manifestazioni popolari e realizzò l’affiliazione del ricostituito Psd’A al Pd’A.
Dal 21 giugno all’8 dicembre 1945 venne nominato ministro dell’Assistenza postbellica nel governo Parri e nel successivo governo De Gasperi fu scelto come ministro senza portafoglio incaricato dei rapporti con la Consulta, di cui fu membro. Si dimise da ministro il 20 febbraio 1946, all’indomani del congresso del Pd’A, che aveva sancito l’uscita dal partito della “destra” guidata da Parri e La Malfa.
Poi una grande responsabilità. Il 2 giugno 1946 Lussu venne eletto all’Assemblea costituente nel collegio di Cagliari ed entrò così a far parte della Commissione dei settantacinque, incaricata di redigere la bozza della Costituzione repubblicana occupandosi in particolare delle autonomie regionali.
Ma le elezioni per la Costituente segnarono una netta sconfitta de partito azionista, che venne sciolto nel giugno 1947.
Così Lussu aderì al PSI, sempre più lontano dal Psd’A che l’esponente sardista considerava come un partito di clientele, conservatore, che agitava demagogicamente i temi del “nazionalismo sardo” e del separatismo. Il 4 luglio 1948 lo abbandonò per fondare il Partito sardo d’azione socialista, che dopo le elezioni regionali sarde del 9 maggio 1949 confluì nel PSI.
Nominato senatore nel 1948, Lussu fu confermato al Senato per ben tre volte nelle elezioni del 1953, del 1958 e del 1963.
Dopodiché ruppe con Pietro Nenni e nel 1964 aderì al Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP). Nel 1968 decise di concludere la sua esperienza parlamentare e nel 1972, allo scioglimento del PSIUP, si ritirò dalla politica attiva per dedicarsi alla ricostruzione della mancata difesa di Roma nel 1943 e delle vicende del Partito d’azione.
Non solo. Lussu fu tra gli esponenti politici più attenti nel mettere in guardia da un possibile ritorno del fascismo in Italia. “Attorno a gruppi fascisti – scriveva l’esponente sardista -, i residui fanatici di un regime da cui traevano privilegi e vita grassa, tentano di turbare la legalità che è necessaria per il libero responso del Paese, che è necessaria per la Costituente, e complottano e s’affannano a creare disordini, con la speranza di far rinviare le elezioni del 2 giugno e di rialzare le sorti monarchiche”.
“Basta vivere un solo giorno a Roma – continua Lussu -, centro di intrighi politici, quartier generale di tutti gli avventurieri sbandati che lavorano per ridarsi un’organizzazione e riafferrare il potere, per constatare che esiste un pericolo nella capitale e altrove. C’è da attendersi più di un colpo di mano, come quelli avvenuti a Milano, a Roma e altrove, più d’un colpo di scena con abdicazioni e contro abdicazioni, provocazioni armate in più parti e molte”.
“Altre cose ancora – conclude l’esponente sardista -, con cui si tenterà di rinviare o di sabotare le elezioni del 2 giugno e tentare di salvare così la monarchia che si sente perduta. Ma le elezioni avverranno il 2 giugno e nessun avvenimento potrà impedirlo”.
Emilio Lussu morì a Roma il 6 marzo 1975.
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