(Foto credit: Barbara Serra Facebook Page)
Ha fatto molto discutere la proposta di un gruppo di Fratelli d’Italia, guidata dal vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, di multare fino a 100mila euro chi non utilizza la lingua italiana nella pubblica amministrazione. Un modo, secondo l’esponente del governo Meloni, di tutelare l’idioma nostrano.
Tra i tanti che hanno voluto partecipare alla questione c’è anche la giornalista Barbara Serra, di sede a Londra ma di origini sarde, che da tempo si occupa del tema. Soltanto qualche giorno fa ha postato una sua riflessione in merito sulla sua pagina Facebook.
“Inizio col dire che questa non è una difesa della proposta di legge che multerebbe l’uso della lingua inglese nella comunicazione pubblica – inizia Serra -. Credo che l’uso della lingua sia una cosa fluida, e qualsiasi forzatura esterna che non sia basata sulla necessità abbia poche probabilità di successo. Detto questo, la chiarezza deve essere alla base di tutta la comunicazione, e penso che molte critiche stiano enormemente sottovalutando l’impatto della lingua inglese non solo in Italia, ma nel mondo”.
La giornalista racconta di essere bilingue fin dall’età di 9 anni, quando la sua famiglia si è trasferita da Milano a Copenaghen e ha iniziato a frequentare la scuola internazionale.
“Il piano di studi era prima britannico (elementari e medie) e poi (al liceo) americano: Letteratura, storia, geografia, musica, arte – ho appreso tutto da un punto di vista anglosassone. Perché a 9 anni non ho imparato una lingua. Ho imparato una cultura. Tutte le lingue sono il canale dal quale passa la cultura da cui quelle lingue provengono. E io ho imparato a vivere da anglofona nel mondo anglosassone. Qualsiasi relativo successo abbia mai avuto, lo devo enormemente a quello”.
“L’inglese è indiscutibilmente la lingua globale – dice Serra senza mezzi termini -. In Italia lo parliamo ancora relativamente poco e male, e questo ci danneggia (anche se noto che i giovani di oggi sono molto più bravi). Ma migliorare la conoscenza dell’inglese non significa abbattere la delineazione fra la nostra lingua e quella globale. La lingua ha un impatto su come pensiamo, su come strutturiamo i nostri pensieri. Questo può essere un aspetto bellissimo dell’essere bilingue. Ma bisogna stare attenti. Perché le lingue non sono create uguali. L’inglese è la lingua PRIVILEGIATA. Ieri sera in TV ho sentito un esperto paragonare l’uso dell’inglese nella tecnologia all’uso dell’italiano nella musica. Lo trovo un paragone assurdo. Il tech, dai social all’arrivo di ChatGPT, ha il potere di cambiare la società. L’algoritmo che ha messo questo mio articolo sulla vostra pagina Facebook è creato e deciso negli Stati Uniti. Non proprio lo stesso impatto dell’insegnare a studenti inglesi della musica il significato di ‘piano’ e ‘fortissimo’”.
 
Usare frasi inglesi, o traduzioni dirette, può sembrare cool – ‘fare i fighetti con le parole straniere’ per dirla come il vicepresidente della Camera Rampelli, che ha proposto la legge. Ma alla fine spesso dimostra solo enorme conformismo ideologico. E da Italiana di nascita che fa parte, vive e lavora nel mondo anglosassone da 40 anni, vi assicuro, non tutto quello che viene dal mondo anglofono di questi tempi è oro. Anzi. Perciò multe per parole inglesi no – conclude la giornalista -. Ma neanche una negazione ingenua dell’imperialismo linguistico dell’inglese, e del danno che questo potrebbe portare al nostro essere, e pensare, da italiani”.
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