Il calcio sudamericano ha da sempre un ascendente particolare sugli appassionati di sport. Si porta dietro storie uniche, sfide ad alta competizione, in cui entrano dentro tradizioni e ostilità centenarie.

Alessandro Sanna insegna tecnologia alle scuole medie. Ma su Instagram è riconosciuto come uno dei maggiori cultori di calcio del Sud America. E di recente ha lanciato un podcast, Que Viva El Futbol, dove racconta storie e imprese incredibili.

In una lunga chiacchierata abbiamo provato a fare un viaggio dalla Sardegna all’Argentina, toccando l’Uruguay, gli ultimi mondiali di calcio e le scelte del ct dell’Italia, Roberto Mancini.

Quando inizi ad appassionarti al calcio sudamericano?

Dobbiamo tornare indietro nel tempo di oltre vent’anni. Non c’è una data precisa. Diciamo che ho iniziato a provare interesse quando leggevo sull’album di figurine i nomi delle squadre sudamericane. Parliamo della seconda metà degli anni ’90. Ero alle scuole medie e grazie a Batistuta, Crespo , Zanetti iniziai a conoscere qualche nome. Sapevo poi, grazie agli uruguaiani del Cagliari, che dall’altra parte dell’oceano c’era un altro mondo calcistico ma nulla più. Quando però arrivarono le prime immagini delle partite allora fu amore a prima vista. Fui folgorato dal modo che hanno di vivere il calcio ogni attimo della loro vita.

Quanto è cambiato, migliorato o peggiorato nel tempo?

Dal punto di vista tecnico il Sud America non ha mai smesso di produrre talento. Brasile, Argentina e anche Colombia, in minor misura, rappresentano una fucina senza sosta. L’Uruguay poi è un caso unico al mondo. Le altre vivono ovviamente di periodi. Ora Cile e Perù sono in difficoltà mentre l’Ecuador può contare su una serie di giovani molto interessanti. Il problema si pone invece se consideriamo le strutture. La crisi economica che ha devastato alcuni paesi non ha permesso ai centri di allenamento di essere al passo con i tempi. Le cose da qualche anno stanno cambiando. La parola d’ordine è programmazione con la quale, si possono ovviare determinati fattori negativi. Un caso emblematico è quello dell’Independiente del Valle. Il club ecuadoregno rappresenta un vero e proprio modello da seguire.

Quanto è stato determinante e sentito il successo dell’Argentina al mondiale?

La vittoria in Qatar è figlia di un percorso iniziato quasi per caso nel 2018, dopo il Mondiale in Russia, con la fine del ciclo di Sanpaoli. Penso che Scaloni stesso non pensasse poi di rimanere così a lungo ma quello che, inizialmente doveva essere un interinato, si è rivelato poi un successo epocale. Soprattutto negli ultimi anni c’era nell’aria il sentore potesse accadere qualcosa di speciale. Un gruppo che non era mai stato così coeso, la vittoria in Copa America dopo quasi trent’anni, la figura di Messi mai così carismatico e guida per tutta la Seleccion. L’eco della vittoria è stato enorme ed è ancora forte. Lo dimostra la festa andata in scena al Monumental, stadio del River Plate, nell’amichevole contro Panama di poche settimane fa.

Messi è il più forte giocatore dell’era moderna?

Per me si, senza dubbio, ma non esiste una risposta esatta ed è fondamentale spiegare cosa si intenda per “forte”. La storia del calcio non conta tantissimi calciatori che, nel momento esatto in cui si sono palesati, hanno portato qualcosa che prima di loro non esisteva. Pelè, Cruijff, Maradona, Ronaldo Luis Nazario, Ronaldinho, Messi e Cristiano Ronaldo. Per me loro sono quelli che più di tutti hanno influenzato il modo di intendere questo sport stravolgendolo in relazione alla loro epoca. Nel presente e nel recente passato io, personalmente, scelgo Messi sia per l’emozione che mi suscita sia perché sono legato a quel subcontinente.

Cosa ne pensi della polemica che si è creata sugli oriundi in nazionale? E che ne pensi di Retegui?

Ti cito tre nomi. Luis Monti, Enrique Guaita, Raimundo Orsi. Mi auguro che, per coerenza, chi storce il naso su Retegui, attribuisca poi all’Italia solo tre Mondiali e non quattro dato che quello del 1934 è stato vinto grazie alle prestazioni dei ragazzi di cui sopra, nati, cresciuti calcisticamente e morti in Argentina. La polemica nasce dalla scarsa informazione. Retegui si è dimostrato entusiasta e questo basta. In campo ha dimostrato il suo valore. Non penso sia un fenomeno ma una cosa la sa fare, segnare. Poi in qualche modo è legato alla Sardegna..

Il Cagliari è una delle Squadre che generalmente si lega a giocatori sudamericani. Cosa trovano in Sardegna?

Questa è una domanda che nel corso del tempo mi sono sempre posto. Non sono però ancora riuscito a darmi una risposta ben precisa. Parlare però di Sud America in senso lato è riduttivo. Perché alla fine, se escludiamo gli uruguaiani, il numero di calciatori sudamericani si riduce drasticamente. Il legame speciale è con l’Uruguay e sono convinto centri in qualche modo tutta La Mistica che ruota intorno a questo piccolo Paese.

Secondo te Nandez ha perso o guadagnato qualcosa dal rimanere al Cagliari in serie B?

Il ragazzo è arrivato a Cagliari sette mesi dopo aver disputato una finale di Copa Libertadores che rimarrà per sempre nella storia del calcio. È arrivato con tante aspettative, per una cifra importante e con l’obiettivo di lanciare la sua carriera europea. Le vicissitudini della squadra prima, e personali poi, lo hanno inevitabilmente condizionato. La scelta di rimanere in Sardegna a mio avviso è stata corretta proprio per la serenità ritrovata fuori e dentro il campo. Ha ancora buona parte della carriera davanti a sé per togliersi le soddisfazioni che merita.

Se dovessi consigliare di tenere d’occhio qualche giocatore, chi sarebbe?

Il discorso è complesso. I club più importanti a livello europeo hanno occhi ovunque e, a suon di milioni, riescono ad arrivare primi su alcuni profili dal futuro folgorante. Mi riferisco a Enzo Fernandez, Andrey Santos o a Endrick che a sedici anni è già stato acquistato dal Real Madrid. Sperando in un Cagliari in Serie A già dalla prossima stagione mi sento di darti due nomi per i quali il  nostro contesto tecnico e societario potrebbe essere adeguato. Juan Carlos Gauto dell’Huracan, un ala destra del 2004, e Matias Arezo, ventenne punta centrale del Peñarol ma di proprietà del Granada. Ha gli occhi dell’Europa già addosso quindi in tal caso bisogna sbrigarsi.

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