(Foto credit: Fabrizio Coniglio Instagram Page)

Reduce da un grande successo internazionale per la serie Netflix “La legge di Lidia Poët”, dove interpreta il marchese Ludovico Clermont, Fabrizio Coniglio è tra gli attori più amati e apprezzati dal pubblico Rai.

È qui infatti che si è fatto conoscere alle famiglie italiane che seguono puntata dopo puntata serie televisive come “Il commissario Rocco Schiavone” con Marco Giallini, “L’allieva” con Alessandra Mastronardi, “Che dio ci aiuti” con Elena Sofia Ricci, “Don Matteo” con Terence Hill o ancora “La compagnia del cigno” con Alessio Boni e Anna Vale. Tante storie che tengono milioni di spettatori incollati alla tv in prima serata e li avvicinano agli interpreti che le raccontano.

Per il cinema, poi, è stato il protagonista del film “Amor sacro” (2016), diretto da Marco Zarrelli, in cui interpreta Padre Innocenzo, monaco cistercense che osserva uno stile di vita austero ed è ceramista dell’abbazia in cui vive. La pellicola ha ricevuto la candidatura come Miglior film in lingua italiana ai MIFF Awards 2017.

Ma l’attore torinese è da sempre legato al teatro. Dopo il diploma alla Scuola del Teatro Stabile di Genova, Coniglio “entra in contatto” con i grandi drammaturghi europei, da Molière a Shakespeare, per poi affinare la tecnica e darsi alla regia vera e propria. Sue infatti le direzioni degli spettacoli “Il viaggio di Nicola Calipari” (2009), “O la borsa o la vita” (2017), “Un borghese piccolo piccolo” (2018), “Banche, un ladro in casa” (2018) e “Stavamo meglio quando stavamo peggio” (2019) insieme a Stefano Masciarelli.

Una pièce, quest’ultima, che ha visto un rinvio della tournée a causa della pandemia e che proprio in quest’ultima settimana ha attraversato la Sardegna da nord a sud, per la Grande Prosa organizzata dal Cedac, per fare un grande balzo all’indietro negli anni Sessanta e Settanta in Italia e tornare ai giorni nostri, tra gioie e dolori del tempo che fu e di quel che invece ancora ci attende.

Partiamo dalla serie Netflix su Lidia Poët, dove interpreti il marchese Ludovico Clermont. Come ti sei trovato in questa storia di grande attualità?

È stato bello perché intanto era bello lavorare in costume e tuffarsi in un altro mondo, in un’altra epoca. E poi è sempre affascinante interpretare un assassino, perché entrare nella psicologia della follia è anche una sfida, non sono personaggi che trovi dietro l’angolo. Mi sono trovato benissimo sia con Matilda De Angelis che con il regista Matteo Rovere. È stata un’operazione molto ben fatta e infatti sta andando molto bene sulla piattaforma a livello mondiale: è la seconda più vista.

Tu sei partito dal teatro per poi arrivare al cinema e alla tv. Oggi però vanno alla grande le nuove piattaforme streaming. Come cambia il rapporto con il pubblico?

Secondo me questa “bolla” delle piattaforme è un po’ figlia di quel che è accaduto durante il Covid, quando eravamo chiusi in casa. Ma l’essere umano ha bisogno di contatto, noi lo vediamo in teatro. La gente ha una voglia di tornare a stare insieme, di ridere, di dimenticare tutto quello che c’è stato, che è stato molto più angosciante di quello che possiamo immaginare. Non so quanto durerà questa bolla produttiva, perché l’essere umano ha bisogno di uscire e confrontarsi. Anche il cinema, che ha subito un contraccolpo notevole, perché le sale si sono un po’ svuotate, ricomincerà a sentire la necessità del rito collettivo. E questo è anche un po’ un mio augurio, perché non dobbiamo dimenticare questo ritrovarsi insieme. Mi auguro che queste serie possano avere anche un risvolto nelle sale.

Tra i tuoi grandi successi ci sono senza dubbio le fiction “L’Allieva” e “Il commissario Rocco Schiavone” in cui vesti i panni dell’agente. Come ti senti in divisa?

Sì ne “L’Allieva” ero sempre in borghese, ma mi sono divertito molto. Era un personaggio molto buffo, molto gentile. Sui libri da cui è stata ripresa la serie era quasi accennato sui libri e l’abbiamo praticamente creato sul set, quindi è stato molto divertente. Devo dire che forse è quello che più mi ha fatto conoscere al grande pubblico. E a proposito di questo, posso dire che nonostante tutte le piattaforme, alla fine la Rai è quella che ancora è più vista, quindi anche in termini di riconoscibilità è quella che dà di più. Le persone si affezionano.

Hai anche un profilo Instagram, ma non ci bazzichi molto. Che rapporto hai con i social?

Si è vero, pubblico prevalentemente cose di lavoro, ma non sono quello che ogni giorno fa una foto per postare il caffè. Non ce la faccio. Mi ha insegnato un po’ a usarlo Alessandra Mastronardi, però sono rimasto fermo al suo insegnamento che è di due anni fa [ride, ndr.]

In Sardegna hai portato lo spettacolo teatrale “Stavamo meglio quando stavamo peggio”. Com’è andata?

Sì è uno spettacolo musicale che porto insieme a Stefano Masciarelli e Diego Trivellini. Sul palcoscenico c’è una valigia piena di parole, che non usiamo più o che ci sono subentrate violentemente nella quotidianità, come lo “Spid” per fare un esempio. È uno spettacolo che vuole portare le persone a ridere di nuovo e a guardare avanti. Lo faremo giocando con il nostro pubblico.

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