Se non fosse stato per un provino fortunato, Stefano Masciarelli probabilmente ora sarebbe un investigatore privato. Volto noto della televisione italiana, l’attore, comico e doppiatore romano è tra i personaggi più amati e apprezzati del mondo dello spettacolo nostrano.
Il suo talento per la recitazione era già stato intravisto dai colleghi militari, quando recitò un brano intitolato “La preghiera del soldato”, lasciando ammutoliti tutti i commilitoni presenti. Poi i lavori come cameriere, bagnino nella sezione CRAL del Ministero della Giustizia di Ostia e infine come investigatore privato.
La svolta arriva quando, come ha raccontato Masciarelli in più occasioni, notò un annuncio di Canale 5, in viale Libia, in cui si ricercava un comico capace di imitare la voce di Gianni Agnelli. Dopo aver presentato la sua versione personale del noto imprenditore piemontese, l’attore fu riconvocato e messo sotto contratto da Terzoli e Vaime.
Ma la consacrazione nel mondo dello spettacolo sarà con la trasmissione “Avanzi” (1991), scritta da Corrado Guzzanti e condotta da Serena Dandini, e successivamente con “Tunnel” (1993), che ripropone il bis dell’autore satirico e la conduttrice romana. L’anno seguente è a “Domenica In”, su Rai 1, con Mara Venier. Il resto è storia.
Oggi Masciarelli è in Sardegna per la tournée teatrale “Stavamo meglio quando stavamo peggio” insieme all’attore Fabrizio Coniglio e al musicista Diego Trivellini, sotto le insegne de La Grande Prosa organizzata dal Cedac.
Una pièce brillante incentrata sul confronto tra due generazioni differenti alla riscoperta della politica e della società di un periodo cruciale, ricco di fermenti e contraddizioni, tra il boom economico e le lotte operaie, attraverso lo sguardo del protagonista, che prova a raccontare e a spiegare al nipote come si vivesse in “quell’Italia del sorriso e del sogno”.
Partiamo dallo spettacolo “Stavamo meglio quando stavamo peggio”. È davvero così?
Per quanto mi riguarda sì. Parlando della lira, io la vorrei indietro e poi, avendole vissute, ci sono tante altre cose che quando pensavamo di stare “peggio”, in realtà stavamo meglio. Ormai il mondo è allo sbaraglio, l’Italia è un far west. Se pensiamo solo agli omicidi, ai suicidi di oggi, vent’anni fa non era così. C’è proprio una crescita del malessere in generale. In questo spettacolo ne parliamo con ironia, scherziamo col pubblico, giochiamo insieme. Abbiamo colto tutti i riferimenti di allora, li abbiamo messi in contrapposizione con quelli di oggi e poi la domanda la facciamo agli spettatori.
Lei è stato tra i protagonisti del varietà all’italiana. Com’è cambiata la tv negli anni? C’è qualche programma che le piace guardare oggi?
Devo dire che di tv ne guardo poca se non per qualche serie televisiva. Purtroppo il varietà è morto, è finito. Ormai ci sono i reality che vanno molto di moda e che propongono tutte queste persone che litigano tra loro. Sinceramente non mi ci riconosco e non la guardo, però ci sono degli ottimi film e delle ottime fiction. Diciamo che non ci sono più gli autori di prima, che avevano un vezzo speciale, che era quello della penna. Prima gli autori scrivevano e gli attori interpretavano. Oggi che scrivono? Non c’è più il varietà e non possono scrivere nulla. Vanno di moda i monologhisti, quindi chi fa da sé fa per tre.
Tra i grandi nomi dello spettacolo degli anni ’60 e ’70 cita anche Domenico Modugno, che vinse il Festival di Sanremo per ben quattro volte. Ha visto l’ultima edizione? Cosa ne pensa?
Penso che ci sia stata una grande novità per quanto riguarda i giovani. C’è stato una sorta di riciclaggio dal Sanremo classico con tutti i cantanti di sempre, forse perché i grandi nomi non vengono più al Festival – gli unici son stati Ranieri, Albano e Morandi. Il resto è stato tutto cambiato. Devo dire che a me ha fatto molto piacere, largo ai giovani.
A proposito di giovani, oggi non guardano molta tv ma stanno più sui social. Lei che rapporto ha con il pubblico più giovane e come si fa a togliersi di dosso l’etichetta di “boomer”?
Io questa etichetta me la tengo, perché non sono un social, nel senso che metto sul web soltanto i miei spettacoli, ma le foto e i luoghi, un po’ come fanno i giapponesi, quello no. Me ne sto nel mio limbo. Capisco che ormai si va avanti solo a follower ma a me sinceramente non mi interessa perché lo ritengo un mondo finto, virtuale, dove non si parla più, non ci si abbraccia più, non ci si parla più se non su queste piattaforme, che poi rimangono di una freddezza incredibile. A me viene da ridere quando sento dire “siamo amici su Facebook”. Ma com’è possibile se non ti ho mai vista?
Lei è stato anche in Sardegna diverse volte, la prima nel ‘97 per il film “Gratta e vinci” e poi nel 2007 con “Le ragioni dell’aragosta” insieme a Sabina Guzzanti. Che ricordi ha di quegli anni?
Sì vengo qui da circa quarant’anni. Il primo ricordo è sensoriale, sento l’odore del mirto. Forse la più bella isola del mondo, a mezz’ora da Roma. È un posto sensazionale, è ancora a dimensione d’uomo, cosa che non è Roma. E poi c’è la bellezza delle montagne, la bellezza del mare, dell’enogastronomia, dell’entroterra. Qui c’è storia. E quindi evviva la Sardegna!
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