Red Bill è un famigerato cacciatore di taglie che trasporta una “sporca sacca nera” da un lato all’altro del Far West. Una volta arrivato a Green Vale, città mineraria prima attiva e fiorente poi finita in decadenza, incontrerà sulla sua strada il corrotto sceriffo del posto, McCoy, e altri personaggi sui generis, come l’agricoltore Steve e la maîtresse Eve. Ma ce n’è uno più di tutti che lascerà il segno: Bronson, un uomo cupo e violento con un passato strettamente connesso a quello degli altri protagonisti.
Dietro a questo spaghetti western con tinte horror c’è Mauro Aragoni, regista originario di Tortolì, che con la sua ultima serie tv “That Dirty Black Bag” – diretta insieme a Brian O’Malley – ha già conquistato il grande pubblico statunitense ed è finito anche nella sezione culturale del Wall Street Journal. I rimandi al genere sono lampanti, a partire dalla famosissima scena ripresa dal film “Per un pugno di dollari” di Sergio Leone, che il giovane regista tiene a omaggiare a più riprese nel corso della narrazione.
Ma prima di arrivare fin qui, Mauro Aragoni ha ottenuto importanti premi cinematografici come il Web Fest di Los Angeles, Miami, Roma, Vancouver, oltre a prestigiosi riconoscimenti da parte di Rolling Stone, Ciak Magazine e Il Corriere della sera, e gli applausi di Giancarlo Santi, storico aiuto regista di Sergio Leone, ed Ennio Morricone.
Tra le più importanti collaborazioni, che gli hanno permesso di fare il “grande salto”, c’è quella con il rapper Salmo, protagonista del suo cortometraggio “Nuraghe S’Arena” insieme ad attori del calibro di Michael Segal e Ally McClelland, che ha superato le 100mila visualizzazioni nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione del trailer.
Oggi il giovane regista lavora con professionisti del grande schermo, come Dominic Cooper, Travis Fimmel e Aidan Gillen, tra gli altri, e il suo talento è riconosciuto a livello internazionale.
Hai iniziato a girare i film con un carrello della spesa. Oggi il tuo talento viene riconosciuto da importanti nomi del cinema contemporaneo. Come vivi questo momento? C’è qualcosa di quel Mauro degli esordi che ti porti dietro?
Usavo più spesso uno skate, poi un amico a cui tengo molto mi costruì un carrello con dei binari, funziona ancora bene! Guarda ti posso dire una cosa che mi dicono tutti i vecchi collaboratori e amici che si sono ritrovati in Spagna con me a lavorare con un set enorme. Dicono che sono uguale a tempo fa, che sul set si lavora sodo ma ci si diverte molto. Ricreare sempre un energia positiva per sdrammatizzare la tensione è una cosa che faccio in modo naturale, aiuta sia la testa che il lavoro. Fare cinema non è semplice, non è un mestiere per ansiogeni, potrebbe davvero rovinarti la vita. Bisogna sorridere e sapere che a ogni problema si può trovare una soluzione.
Come sei arrivato a dirigere “That Dirty Black Bag”?
Be’ diciamo che la Palomar ha creduto molto in me, si parla di una gestazione di sei anni di script e tante avventure, ma quello che ha convinto di più tutti a darmi la regia fu il mio cortometraggio “Nuraghes S’Arena”.
Com’è stato girare un film con attori come Dominic Cooper, Travis Fimmel e Aidan Gillen? Ci racconti un aneddoto durante le riprese?
È stato difficilissimo, ma allo stesso tempo divertentissimo. Con molti siamo rimasti amici. Eravamo come una famiglia, anche per il fatto di aver girato durante il Covid, non potevamo uscire dall’albergo e per mesi ci si frequentava solo tra di noi. Posso dirti di Fimmel, lui fa molto ridere, è un po’ pazzo. Una volta durante le riprese mi lanciò una patata cruda nelle mie parti basse per gioco. Il fatto è che mi prese bene, mi incazzai a tal punto da stoppare le riprese per ridargli il colpo, presi la cosa che avevo più vicino – non ci crederai ma era una scopa -, lo rincorsi fino a beccarlo con il manico nello stesso punto.
Sei un grande estimatore del genere spaghetti western e questo film lo dimostra. Quali sono i registi a cui ti ispiri maggiormente? I film di cui conosci la battute a memoria?
Sì in realtà prediligo l’horror, ma rispetto lo spaghetti western come arte pura e storia del cinema. Fa parte di noi italiani, avevamo creato una rivoluzione ai tempi d’oro. Posso dire che la mia frase preferita è questa: “Al mio mulo non piace la gente che ride. Ha subito l’impressione che si rida di lui”.
C’è chi dice che la Sardegna sarebbe un posto ideale per girare dei film di questo genere. Cosa ne pensi? Hai mai pensato a qualche set naturale qui?
Certo, il mio western è nato grazie al fatto che vivo in Sardegna, sono stati i posti della mia isola a influenzarmi. A questo giro non ho potuto girare in Sardegna, ma spero di farlo per il prossimo film.
Tra l’altro hai già diretto il corto “Nuraghes S’Arena” con Salmo come attore protagonista, dove racconti una Sardegna ancestrale in continua lotta tra la vita e la morte. Hai in mente un nuovo capitolo di quel filone fantastico?
Su questo ho in mente parecchio, in molti fan mi scrivono da anni a riguardo. Non posso parlarne al momento, posso solo dire a tutti di stare in guardia, ci saranno novità.
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