Si sa: in Sardegna la qualità della vita è superiore. E allora perché anche un medico della Penisola non può sognare di venire a esercitare la sua professione nella splendida Ogliastra dei Centenari? Per una carriera arricchita da un bel piatto di culurgiones o da un maialetto arrosto? Oppure perchè non sognare di venire a lavorare nel Sulcis, con le sue incantevoli spiagge e la sua storia mineraria? Oppure a Nuoro, con le sue tradizioni?
Ecco il senso dell’annuncio comparso in questi giorni nella pagina FB istituzionale dell’Ares Sardegna, l’Azienda sanitaria regionale, che sta cercando disperatamente di reclutare dirigenti medici per i reparti di Chirurgia generale nelle Asl di Nuoro, Ogliastra o Sulcis, in cui la cronica carenza di personale mette da anni a rischio il servizio.
“Cerchiamo medici sognatori: il sogno si chiama Sardegna“, recita lo slogan, a metà strada tra la americaneggiante chiamata alle armi del vecchio Zio Sam e la pubblicità di un resort di seconda categoria.
Ovviamente la singolare campagna di reclutamento social è diventata virale sul web, prestando peraltro il fianco alle critiche dell’opposizione. Cosa abbastanza prevedibile, visto lo stato comatoso della sanità regionale.
“Qualcuno dovrebbe spiegare all’assessore e a chi insieme a lui si occupa della sanità che il motivo della carenza di organico non è da ricercare nella poca voglia di “sognare” dei medici”, commenta sarcastico il capogruppo dei Progressisti in Consiglio regionale, Francesco Agus, che viceversa elenca con dovizia di particolari i punti dolenti della sanità isolana.
La carenza di medici nell’isola, sottolinea Agus, sta soprattutto nel fatto che in troppi reparti sanitari mancano le condizioni minime per lavorare in sicurezza e nel fatto che in questi anni, per scelta consapevole della regione, sono sorte alternative meno responsabilizzanti e meglio pagate per i professionisti della sanità, come i cosiddetti medici in affitto. “Saranno pochissimi gli specialisti disposti ad accettare un contratto da dirigente medico in un pronto soccorso con la prospettiva di lavorare al fianco di un medico reclutato da una cooperativa privata meno preparato, con meno mansioni ma con una busta paga più alta – scrive -. È più facile che i sognatori rispondano agli annunci delle coop piuttosto che a quello di Ares”.
Inoltre, a differenza di altre regioni in cui è stata attivata una rete di incentivi che ha in parte arginato la carenza di medici nelle zone disagiate, in Sardegna, nonostante lo statuto speciale e l’oggettiva condizione insulare, è stato fatto pochissimo.
Questi fatti, uniti alle problematiche irrisolte di una rete ospedaliera da riorganizzare, alla guida della sanità sarda spesso affidata a facenti funzione (“Non sono stati fatti i concorsi per la nomina dei primari e questo porta chi lavora a operare senza una guida e senza responsabilità chiare”, scrive Agus) e alle continue riforme che periodicamente smontano e rimontano ospedali e Asl sarde, completano il quadro. “Il “sogno” – conclude il rappresentante dell’opposizione – non può essere lavorare in queste condizioni e a queste condizioni”.
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