Nel corso dell’ultimo decennio, tra il 2011 e il 2021, in Sardegna la popolazione in età compresa tra 15 e 64 anni è diminuita di 110mila unità: una contrazione del -9,8%, oltre il doppio del dato registrato a livello nazionale (-4,3%).
Nella nostra isola, ancor più che in altre regioni italiane, le trasformazioni della struttura per età della popolazione avranno un rilevante impatto sul mercato del lavoro e, più in generale, sul potenziale di crescita del sistema produttivo e sulla sua capacità di generare ricchezza.
È quanto si evince da un report del Centro studi della Cna Sardegna che lancia l’allarme: a causa dell’evoluzione demografica e del calo occupazionale nel prossimo decennio il valore aggiunto regionale potrebbe contrarsi addirittura del 16% e il reddito pro capite del 6,4%.
Già oggi la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) evidenzia una rilevante riduzione, ma nel prossimo decennio si stima una ulteriore accelerazione del fenomeno, con cifre che vanno dalle 200mila unità in meno dell’ipotesi bassa (-19,7%), alle 175mila in meno dell’ipotesi alta (-17,4%), con una ipotesi centrale più probabile che definisce l’entità del calo pari a 188mila unità in meno (-18,6%).
Sebbene con toni meno accentuati, il fenomeno trova conferma anche nelle previsioni demografiche elaborate dall’Istat, secondo cui nel prossimo decennio l’entità del calo della popolazione in età compresa tra 15 e 64 anni è stimato in un intervallo compreso tra le 144mila e le 139mila unità in meno.
All’origine del fenomeno c’è un dato strutturale di grande impatto: il progressivo defluire verso le classi di età più anziana (65 anni ed oltre) del folto contingente nato durante il baby-boom degli anni ’60 ed il contestuale ingresso in età lavorativa delle più esigue generazioni del periodo successivo.
Facendo riferimento alla popolazione in età lavorativa secondo la classificazione Eurostat, che comprende la popolazione con età 20-64 anni, nel corso dell’ultimo decennio (2011-2021) la Sardegna ha registrato 91mila residenti in meno (-8,2%) e senza rilevanti trasformazioni della struttura interna del mercato del lavoro le aspettative per il prossimo decennio sono davvero allarmanti.
Lo scenario attuale
Assumendo la permanenza delle condizioni attuali – ovvero un tasso di occupazione al 54% (occupati 20-64 anni / popolazione 20-64 anni) e un tasso di disoccupazione al 14% (in cerca di occupazione 20-64 anni / forze di lavoro) – nell’arco del prossimo decennio (2021-2031) la contrazione della popolazione in età da lavoro determinerebbe una riduzione del numero di occupati valutabile in un valore compreso tra le 97mila (-17,7%) e le 84mila unità (-15,4%).
In definitiva, si definisce uno scenario di crescente difficoltà per le imprese nel reperire forza lavoro e, a parità di produttività, la ricchezza prodotta nell’isola segnerebbe un deciso arretramento.
La popolazione sarda inattiva
Le trasformazioni demografiche in atto – evidenzia lo studio della Cna sarda – impongono la necessità di approntare politiche settoriali destinate a determinare un profondo riassetto del mercato del lavoro. Partendo dal fatto, come visto, che la popolazione in età lavorativa è destinata a un imponente calo, per garantire al sistema produttivo un bacino occupazionale sufficiente è necessario aumentare la quota di popolazione attiva.
Secondo le statistiche sul lavoro, nel conto della popolazione non attiva (circa 116mila individui che nel 2021 non cercavano lavoro) l’11,4% della fascia 20-64 anni sarebbe disposta a lavorare a particolari condizioni, ma a prevalere è la quota di coloro che si dichiarano completamente disinteressati al lavoro: circa 270mila individui, pari al 26,5% della popolazione sarda tra 20 e 64 anni (1,018 milioni), una quota notevolmente maggiore rispetto al dato medio nazionale (22,1%).
A caratterizzare il mercato del lavoro sardo, quindi, è un tasso di inattività troppo alto, conseguenza anche di una scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro.
In Sardegna risulta occupato solo il 49,5% delle donne in età 20-64 anni, contro un dato nazionale del 53,2% (che giunge al 63,7% con riferimento alle regioni settentrionali) ed il 67,7% dell’Europa a 27. Su questo aspetto l’Europa insiste da decenni, indirizzando i paesi membri, e soprattutto l’Italia, verso l’adozione di efficaci strategie orientate a consolidare il mercato del lavoro, ampliando la base occupazionale e la capacità di assorbimento del sistema produttivo.
Nel marzo 2010 – ricorda la Cna sarda – la Commissione europea pubblicava Europe 2020, una strategia decennale finalizzata a promuovere una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, ed al primo punto del programma poneva l’obiettivo di innalzare al 75% il tasso di occupazione della popolazione 20-64 anni entro il 2020. Questo target generale era poi stato tradotto dagli stati in target nazionali, individuati in base alle rispettive situazioni economiche e sociali di partenza, e per l’Italia l’obiettivo fissato mirava al raggiungimento del 67% di occupati entro il 2020.
Nonostante i progressi iniziali, complice anche la pandemia, al 2020 in Italia il tasso di occupazione non è andato oltre il 62,7%, mentre in Sardegna, come detto, si è fermato al 53,6%; sia al livello nazionale sia regionale, considerando la natura delle trasformazioni demografiche in atto, il raggiungimento del target europeo si impone come una questione di primaria importanza.
I possibili scenari
Dalle simulazioni effettuate dalla CNA, nel prossimo decennio persino il raggiungimento da parte della Sardegna degli attuali modestissimi parametri occupazionali nazionali (tasso di occupazione al 62,7% e tasso di disoccupazione al 9,4%) potrebbe risultare insufficiente. Ecco due possibili scenari.
Scenario 1 – L’ipotesi è quella di raggiungere al 2031 gli attuali parametri occupazionali nazionali, con un tasso di occupazione del 62,7%, associato ad un tasso di disoccupazione del 9,4%. Secondo questa ipotesi, rispetto ai livelli attuali, la popolazione residente occupata segnerebbe un calo in valore assoluto compreso tra le 24mila unità dell’ipotesi bassa (-4,5%) e le 9mila unità in meno dell’ipotesi alta (-1,7%).
Scenario 2 – Nell’ipotesi di raggiungere al 2031 un tasso di occupazione pari all’obiettivo che era fissato dall’UE per l’Italia al 2020 (67%), associato ad un tasso di disoccupazione del 7%, rispetto ai livelli attuali la popolazione residente occupata segnerebbe un aumento pari in valore assoluto ad una forbice compresa tra le 11mila unità dell’ipotesi bassa (+2,1%) e le 27mila dell’ipotesi alta (+5%).
“Senza efficaci politiche del lavoro, di contrasto allo spopolamento e alla denatalità e un piano di sviluppo serio e credibile nel prossimo decennio le trasformazioni demografiche in atto porteranno ad un calo netto del numero di occupati”, commentano Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna.
Ma non solo. In base alla simulazione il bilancio occupazionale resterebbe negativo anche nell’ipotesi di raggiungimento della Sardegna delle stesse condizioni occupazionali attualmente esistenti in Italia (ben al di sotto degli obiettivi europei), con la conseguenza che, a meno di significativi incrementi di produttività, nel prossimo decennio la produzione di ricchezza del sistema economico regionale registrerà un significativo arretramento.
Nell’ipotesi di permanenza delle condizioni attuali, continuano Tomasi e Porcu, nell’arco del prossimo decennio il valore aggiunto regionale passerebbe dai 29,2 miliardi di euro del 2020, ai 24,7 miliardi del 2031 (-16%), che si tradurrebbe in un calo del Pil pro-capite di entità pari al -6,4%.
Nell’ipotesi di convergenza verso gli attuali parametri occupazionali nazionali (scenario 2), Il valore aggiunto regionale non andrebbe oltre i 28,9 miliardi, ovvero un calo del -1,3% a valori reali. Alla luce di questo, considerando l’attuale situazione del mercato del lavoro sardo (tasso di occupazione al 53,6%, tasso di disoccupazione al 13,8% e tasso di inattività al 37,9%), il perseguimento nel prossimo decennio degli obiettivi occupazionali fissati per il 2020 per l’Italia (ricordiamo, tasso di occupazione al 67%) rappresenterebbe un traguardo tanto ambizioso quanto indispensabile per la Sardegna, solo così si scongiurerebbe un impoverimento economico e sociale che in alcuni contesti locali (aree dell’entroterra e piccoli comuni) potrebbe assumere connotazioni drammatiche: in questo caso il valore aggiunto regionale, a prezzi costanti e a parità i tutti gli altri fattori, sarebbe di circa 30,8 miliardi, in modesta crescita rispetto ai livelli attuali pari al +5,5%.
Oltre che in termini di crescita potenziale del PIL la riduzione netta del numero di occupati pone un pressante interrogativo in termini di sostenibilità sociale. Nell’ultimo decennio il rapporto tra popolazione non occupata e occupata in Sardegna ha registrato una crescita preoccupante, passando dai 190 non occupati per 100 occupati del 2011, ai 191 del 2021. Senza significative correzioni di rotta le trasformazioni demografiche in atto potrebbero portare questo valore a 215 nel 2031, creando una situazione di difficile gestione, sia dal punto di vista della spesa pubblica, sia in relazione alla capacità di investimento sul territorio.
“L’invecchiamento della struttura demografica – commentano Tomasi e Porcu – determinerà un deciso incremento della spesa destinata a sanità e assistenza, mentre i bassi livelli occupazionali e reddituali faranno lievitare la spesa per interventi di integrazione salariale, sottraendo agli investimenti sul territorio importanti quote di ricchezza prodotta”.
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