(Foto credit: Marina Cafè Noir)

“Vorrei capire, da femminista, se la fede cristiana sia davvero in contraddizione con il nostro desiderio di un mondo inclusivo e non patriarcale, o se invece non si possa mostrare addirittura un’alleata”. Michela Murgia, nota attivista e scrittrice, porta alla ribalta la sua battaglia contro le discriminazioni di genere. Questa volta, però, lo fa da una prospettiva personale, quella di fedele cristiana, per andare in fondo a una questione lasciata da sempre in sospeso: si può essere femminista e allo stesso tempo credente?

Un’analisi che l’autrice di Cabras ha fatto prima da sé, scavando dentro la propria coscienza, poi riportando alla luce le parti più emblematiche dei testi sacri che confermano la sua ipotesi di partenza: sì, si può essere entrambe le cose.

Già tempo fa Murgia aveva affrontato la “nota dolente” nel suo saggio “Ave Mary. E la chiesa inventò la donna” (Einaudi, 2011), che aveva ottenuto un grandissimo successo mettendo d’accordo laici e credenti. Oggi, però, l’autrice fa un passo avanti e nel suo nuovo saggio “God save the queer. Catechismo femminista” (Einaudi, 2022), presentato nella prima serata del Marina Café Noir, giovedì 15 dicembre, al Teatro Nanni Loy di Cagliari, propone una nuova lettura del messaggio evangelico: Dio è “queer”. Termine, quest’ultimo, molto caro alle nuovissime generazioni, che indica tutti coloro che non si ritengono eterosessuali né cisgender – e cioè che identificano il proprio genere con il proprio sesso biologico. Una vera e propria sfida alle istituzioni religiose, ma non solo. Il pamphlet si rivolge a chiunque voglia mettersi in discussione su un tratto fondamentale che permea la cultura occidentale da secoli.

Ma qual è l’elemento più “queer” della religione cristiana? “Nel libro provo a spiegare per quale motivo secondo me, la “queerness”, che noi viviamo come un dato sociale, ha un fondamento teologico nella struttura stessa della Trinità, che è uno degli aspetti di Dio meno investigati, perché meno “antropizzabili”. Noi siamo abituati a una rappresentazione della Trinità dove ci sono un uomo anziano, un uomo di mezza età e una colomba. Ma già il fatto che ci sia un animale, e non una persona, ci rende problematico capire in che modo le persone sono uguali, come ci insegna la dottrina, e non sono distinte”, ci spiega Murgia. “Ora, quella descrizione non esiste nella Bibbia, non c’è da nessuna parte nemmeno nel Vangelo. Quella è la proiezione che a un certo punto la gerarchia maschile del cristianesimo ha deciso di attribuire a Dio, facendo il contrario di quello che c’è scritto nella Bibbia, e cioè che Dio crea l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza. Qui evidentemente l’uomo crea Dio a sua immagine”, prosegue la scrittrice sarda.

Ma c’è un momento di svolta ben preciso, che Murgia identifica nel 1400, “quando compare quell’immagine spettacolare e rivoluzionaria che è la Trinità di Andrej Rublev, il teologo e il pittore ortodosso che dipinge una Trinità in cui tutti e tre gli elementi personali sono rappresentati uguali, distinti nei colori delle vesti, ma identici nelle fattezze, che non sono né maschili né femminili, impossibili da ricondurre a un’età precisa e nemmeno a un’identità. Ci sono interpretazioni differenti su quale sia il Padre, quale sia il Figlio. Non è un errore del pittore, l’autore di quel quadro, che diventerà l’icona più importane dell’Oriente, e di grande ispirazione anche in Occidente, vuole lasciare i confini labili. Vuole che ci sia la possibilità di fraintendimento e di interpretazione, che è tipica dei percorsi della queerness”. Di questo Murgia è certa: “Credo davvero che ci sia una possibilità per dirsi queer in quanto cristiani, e non nonostante cristiani”.

Una possibilità che, però, la sinistra italiana si è lasciata scappare, nonostante buona parte del suo elettorato sia composto da giovani appartenenti alla comunità Lgbt+. La stessa che è stata affondata lo scorso anno insieme al DDL Zan, proposto dal deputato Alessandro Zan, anche da coloro che sedevano al banco con chi quella firma l’aveva sottolineata più e più volte.

Quand’è allora che la sinistra ha abbandonato il messaggio cristiano, che pure porta i valori di libertà e uguaglianza compresi nel suo programma elettorale? “La sinistra così come si afferma in Italia è una sinistra di stampo socialista, marxista, molto legato all’Unione sovietica e quindi fondamentalmente ateista. Che non ha mai visto nel cristianesimo una risorsa, una possibilità di arricchimento del suo immaginario e anche delle sue retoriche”, risponde Murgia. “In realtà però l’alleanza tra comunisti e cattolici esisteva da tempo nella Costituzione, che non è di sinistra, ma vi partecipano comunisti, liberali, e anche i cattolici, in modo sostanziale. A un certo punto, quando si arriva al Compromesso storico si arriva a un nulla di fatto, perché la vicenda Moro spezza quella possibilità, che evidentemente a molti dispiaceva, e si chiude completamente la partita della sinistra con le dialettiche del cattolicesimo”, continua la scrittrice. “È una perdita, per la sinistra prima di tutto”.

Anche la Chiesa, però, aggiunge Murgia, ha fatto la sua parte. “È vero anche che la Chiesa ha attraversato negli ultimi trent’anni un periodo di rigurgito ‘conservatorista’, che pretende cioè di far passare come tradizionale qualcosa che non lo è mai stato. L’atteggiamento è conservatore, ma il contenuto non è conservabile. È un’invenzione nuova. Quando si parla di ‘valori non negoziabili’ mi riferisco in particolare al periodo di ‘regno’ del cardinal Ruini alla guida della Conferenza episcopale italiana, ma il concetto di valori non negoziabili nel cristianesimo non è mai esistito. Se così fosse stato sin dall’inizio, il cristianesimo non avrebbe vissuto duemila anni, perché si è trovato ad avere a che fare pochissimo con le democrazie e moltissimo con gli imperi, con le dittature, tutte forme governative abituate a stabilire che cosa è negoziabile e cosa non lo è”. In questo senso, continua l’autrice, “la Chiesa ha vissuto un periodo buio, di chiusura e retroflessione, e la sinistra non si è interessata di quell’immaginario. Però in politica il vuoto notoriamente non esiste: se tu lo crei, qualcun altro lo riempie”.

Del resto, non sono nuove le immagini del leader della Lega Matteo Salvini che sventola il rosario sui palchi delle piazze italiane oppure il discorso della neo presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, diventato un tormentone estivo, che riprende l’ideologia Dio, Patria e Famiglia di tempi non troppo lontani. Eppure, tanto è servito a conquistare una buona parte dell’elettorato religioso.

“Ho scritto questo libro perché conosco molti intellettuali credenti, che non lo direbbero mai, perché avrebbero paura di essere giudicati dai minus habentes intellettuali”, dice Murgia. “Mi chiedo quanto abbiamo perso in termini di ricchezza letteraria, creativa, artistica, imponendo a persone che avevano una simile fonte di ispirazione di nasconderla, vergognandosene. La fede ha guidato e ispirato secoli e secoli di arte, in Occidente e in Oriente. Non la definirei una cosa che riduce, ma una cosa che moltiplica. Non capisco come siamo arrivati a concepire la fede come limite”.

Una risposta, però, forse c’è: “Chiaramente ha prevalso l’aspetto punitivo e giudicante, moralizzante, della visione cattolica. Ma il cristianesimo per secoli è stato un motore storico, sociale, artistico. Forse ci siamo talmente convinti che sia una cosa che vale poco che è la ragione per cui gli intellettuali credenti di sinistra lo hanno lasciato alla destra, per esempio. E la destra, che è specialista della semplificazione e della banalizzazione dei simboli, dopo la Patria, si è impossessata anche di Dio, oltre che della Famiglia. Nella narrazione della destra, sia la Patria, che Dio e Famiglia, sono sempre dei racconti bidimensionali, la complessità sparisce, sono dei marcatori identitari. Diciamo che il cristianesimo, in mano a una persona di destra, è un’etichetta dell’italianità. Io mi rifiuto di lasciare Dio a chi lo usa in questa maniera”.

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