Nel novembre 2017 gli hanno dedicato un asteroide che porta il suo nome. Un onore per lui, Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana dal 2014 al 2018, tra i massimi fisici sperimentali conosciuto in tutto il mondo per le sue ricerche nel campo della fisica fondamentale e delle particelle elementari, e in particolare sui raggi cosmici.
Dal 1992 è professore ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Trento. Ma accanto all’attività di docenza e ricerca ci sono tanti progetti alle spalle al Cern, a Standford e nello spazio. Tra gli altri, quello realizzato insieme al Premio Nobel Samuel Ting, con il quale ha coordinato l’esperimento per la ricerca dell’antimateria, installato sulla Stazione Spaziale Internazionale (AMS).
Ha contribuito alla realizzazione del satellite italo-cinese Limadou-Cses per lo studio dei fenomeni sismici dallo spazio e ad approvare il piano nazionale “Space Economy” basato sulla partnership pubblico-privato.
Dal 2019 è delegato per il Parlamento europeo nel Consiglio di Euspa, l’Agenzia per i Programmi Spaziali dell’Unione europea, e nello stesso anno diventa il secondo italiano di sempre ad essere inserito nella Hall of Fame della Federazione Astronautica Internazionale.
Ma oltre a tutto questo, Battiston si occupa di far conoscere al pubblico più ampio possibile i meccanismi della scienza attraverso i suoi articoli pubblicati sui principali quotidiani italiani, il suo blog e i suoi libri. L’ultimo è “L’alfabeto della natura” (Rizzoli, 2022) ed è stato presentato a Cagliari giovedì 24 novembre, in occasione del primo incontro del ciclo di seminari “La cultura italiana negli anni di Enrico Berlinguer”, organizzato dalla Fondazione Berlinguer con il contributo della Facoltà di Studi umanistici dell’Ateneo cagliaritano, con lo scopo di discutere le idee e le relazioni del leader comunista con la cultura e le sue espressioni nel periodo in cui si sviluppa la sua leadership, tra gli anni Settanta e i primi Ottanta del secolo scorso.
D’altronde il segretario generale del PCI fu molto attento alle innovazioni scientifiche e tecnologiche dell’epoca che guardava senza alcun sospetto, ma con la consapevolezza che le cose di lì a poco sarebbero cambiate: “Bisogna impadronirsi il più possibile della conoscenza di questi fenomeni. A tutti i livelli. Su questa base bisogna poi definire politiche adeguate a stimolare, a orientare, controllare e condizionare le innovazioni in modo che non siano sacrificate esigenze vitali dei lavoratori e dei cittadini”, diceva in un’intervista rilasciata a L’Unità nel dicembre 1983. Una visione pratica e razionale delle cose, che gli fece intuire già dieci anni prima dell’avvento del web, che bisognava prepararsi a un’epoca di grandi cambiamenti. Con la stessa filosofia, in quegli anni Battiston svolgeva la sua attività da giovane ricercatore in Fisica e compiva i primi passi in un mondo che non ha più lasciato.
Partiamo dall’incontro su Enrico Berlinguer. Erano gli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, quali sono state le scoperte scientifiche più importanti e qual è stato il contributo del segretario generale del PCI a riguardo?
Il ruolo di Berlinguer, in quanto dirigente di un partito politico, è stato quello di interpretare i tempi in cui viveva e di guardare verso il futuro, cercando di capire quali sarebbero stati i cambiamenti che potevano essere utili e importanti da un punto di vista politico. In questo senso, in quegli anni, un tema che stava dimostrandosi importante e che poi oggi è “scoppiato” è quello del digitale, dell’intelligenza artificiale e del ruolo che hanno le macchine nella vita delle persone. Allora c’erano molte idee, anche miti che son stati sfatati in parte, ma oggi possiamo vedere quanto sia vera la questione relativa all’informatica digitale che ha preso un ruolo dominante nella vita quotidiana e nelle prospettive industriali. Berlinguer aveva intuito precocemente come sarebbero cambiate le cose.
Il suo ultimo libro è anche un appello ad ascoltare di più la natura e fidarsi della scienza. Eppure sono in tanti a non farci troppa attenzione: penso a due giganti come Cina e India che hanno disertato l’ultimo incontro sul cambiamento climatico.
Io credo che sia molto più complicato di così. I Paesi in via di sviluppo, o quelli che sono ancora facendo emergere dalla povertà e dalla miseria una parte importante dei loro abitanti, pensiamo a India e a Cina in cui ci sono ancora centinaia di migliaia di persone sotto un livello di vita dignitosa, hanno necessariamente una grande attenzione e un grande interesse alla corretta gestione del cambiamento climatico. Per un motivo molto semplice: quando cambia il clima o abbiamo le città piene di smog, la quantità di persone che muoiono o hanno gravi malattie, o di territori che vengono distrutti e inondati, è grande. Quello che è vero è che in Occidente si possono avere diversi risultati grazie a uno sviluppo importantissimo e alle energie fossili. C’è una tendenza a ‘dettare i tempi’ anche a coloro che hanno problematiche o tempistiche diverse, uno stato di sviluppo diverso, per cui se si dovesse fare marcia indietro adesso, certi tipi di sviluppo condannerebbero centinaia di migliaia di persone a una vita molto difficile da un punto di vista sanitario, educativo ed economico. Quindi questa semplificazione è eccessiva. È nell’interesse di tutti andare in questa direzione, perché la strada è una sola e se il clima si altera in modo significativo tutti perdono molto, tutti sono a rischio di ritrovarsi in situazioni ingestibili.
Può farci qualche esempio?
Immaginate cosa succederebbe con un clima cambiato al punto tale che significative parti della Cina non possano più produrre riso, o significative parti dell’India diventino dei deserti. Avremmo delle catastrofi umanitarie che neanche riusciamo a immaginarci. Noi adesso abbiamo l’immagine dell’Africa davanti a noi. Nel futuro potremmo avere situazioni paragonabili in parti del mondo che oggi sono abitate in modo regolare. Quindi è vero che è complessa la questione del cambiamento climatico così come tutto sommato è semplicissima da un punto di vista chimico-fisico: stiamo bruciando foreste fossili a un ritmo cento mille volte più rapido di quella che è l’unica foresta vivente che abbiamo nel nostro mondo. Dobbiamo porci la domanda: quale politica serve per affrontare il tema in modo realistico? Essendo la politica l’arte del rendere realizzabili le cose, non può astrarre dagli interessi dei partecipanti. Come possiamo pensare che gli interessi di Paesi come India, Cina e Africa, siano antipodali rispetto agli interessi dei Paesi sviluppati? Certamente sono interessi che hanno tempi e modi diversi, ma la politica dev’essere in grado di gestire anche questa diversità. L’obiettivo non può che essere uno solo, dobbiamo convincerci di questo, in perfetta buona fede e trasparenza. Soltanto così si potranno ricostruire quei rapporti di fiducia con Paesi che sul lungo tempo non potranno che essere d’accordo.
A proposito di politica, la nuova Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che la “scienza non è una religione”. Lei cosa risponde?
Non posso essere più d’accordo di così. La scienza non è una religione, perché le leggi della scienza sono studiate a fatica da chi si dedica a questo mestiere, sono poste continuamente a delle verifiche, e quando si raggiunge un risultato condiviso dalla Comunità scientifica, questo diventa un riferimento non più discutibile. Ma non perché è una religione, semplicemente è stato verificato a sufficienza per poterlo trasformare in uno strumento di azione. A differenza della religione, quindi, la scienza è verificata e controllata con opportune modalità – e non in modo approssimativo e superficiale e opportunista. Quindi ci dà proprio le basi, le fondamenta del nostro comprendere il mondo e di come agire per risolvere i problemi che talvolta la scienza e le tecnologie stesse producono. Perché è chiaro che è stato un grande successo del mondo industriale a portarci alla situazione climatica attuale, ma allo stesso tempo ci ha permesso di sviluppare un vaccino in tempi molto più brevi di quelli che si erano pensati soltanto qualche anno fa. Quindi da questo punto di vista, lo strumento per affrontare i problemi globali è la ricerca e la realizzazione, tramite l’aiuto del sistema industriale, di obiettivi ben definiti con chiarezza indicati da un processo razionale, rigoroso e scientifico.
In Sardegna si sta progettando l’Einstein Telescope. In che termini potrebbe essere una vera svolta per l’Isola e tutta Europa?
Be è proprio la scoperta delle onde gravitazionali che ha visto l’Italia ai primi posti, grazie alla tecnologia sviluppata a Pisa dal rilevatore di Virgo. E penso che la prossima azione di strumenti gravitazionali in grado di fare ancora di più, di vedere ancora meglio questa nuova forma di radiazione che ci raggiunge dalle profondità dello spazio, si deve realizzare su scala più grande soprattutto sotto terra, perché in questo modo si raggiunge una silenziosità dello strumento che in superficie non si può raggiungere. La Sardegna per sue caratteristiche naturali ha una bassissima sismicità, e l’area di Sos Enattos, a Lula, dove verrà costruito l’Einstein Telescope, è la migliore d’Europa perché avrebbe un vantaggio dal punto di vista intrinseco del bassissimo rumore sismico. Ma probabilmente, l’Italia ha dalla sua anche la competenza degli esperimenti fatti proprio a Pisa, quindi ha delle carte importanti da giocare. Dobbiamo essere coscienti che queste scelte strategiche internazionali e a livello europeo si basano su un gioco di squadra con altri Paesi, con un’azione di investimenti, sostegno, competenze e risorse. Quindi in questo momento siamo in una fase decisiva in cui occorre sostenere questo progetto per far sì che venga realizzato in Italia con tutti gli sforzi possibili proprio perché le competenze nel nostro Paese in questo settore sono all’avanguardia mondiale.
Da sempre si occupa anche di divulgazione scientifica. In che modo i professionisti del settore potrebbero migliorare il loro approccio coi nuovi media?
Con i social media parliamo di un cambio generazionale, quindi occorrono ricercatori più giovani che possano esprimere anche con queste modalità la loro conoscenza e capacità divulgativa. Ricordiamoci che la divulgazione è una passione, un interesse, una capacità che non necessariamente tutti i ricercatori devono esprimere. Ce ne sono alcuni che sono più in gamba di altri, o altri ancora che mostrano maggiore interesse, quindi dobbiamo dare a queste persone tutti gli stimoli possibili per permettere di partecipare a una divulgazione, ma anche a una discussione pubblica su aspetti importanti della scienza. Nel nostro Paese c’è un diffuso analfabetismo scientifico legato al fatto che nella scuola dell’obbligo prima e poi nei licei non sempre viene data quella formazione scientifica che è necessaria nel mondo moderno per affrontare i temi scientifici quando ci fanno lo sgambetto, quando ci entrano in casa, quando ci interrogano. La scienza è con noi 24 ore al giorno, ci sovrasta. Io e lei in questo momento stiamo parlando grazie a una complicatissima tecnologia che ci permette di conversare da lontano. Ed è un gioco da ragazzi, ma dietro c’è il lavoro di centinaia e centinaia di ricercatori e decine e decine di anni. Quindi siamo assolutamente dipendenti dalla scienza e dalla tecnologia, ma quando poi arriva il Covid o il cambiamento climatico, questi ci obbligano e ci interrogano ad avere un’opinione il più possibile razionale su cose che interferiscono con le nostre abitudini, e la tentazione di spazzare il problema sotto al tappeto o di opporsi con forme di negazionismo, purtroppo prende una porzione non piccola dei nostri concittadini.
Qual è la strada da percorrere allora?
Noi dobbiamo fare in modo di dare una direzione scientifica, ma soprattutto con un dibattito che usi parole comprensibili per spiegare ai cittadini di questo Paese cosa è utile e cosa non lo è, cosa è fondamentale e cosa invece è accessorio, cosa è stato dimostrato e cosa comportano i fenomeni globali che stiamo vivendo. Perché se non riusciamo ad esprimere degli obiettivi in modo coerente, senza esitazioni, l’istinto non gioca a nostro favore. È la natura con le sue leggi e la sua risposta all’emissione massiccia di CO2, fa le cose che deve fare perché è determinata da leggi di fisica e chimica molto precise, e non può fare né di più né di meno. Non dobbiamo essere scienziati, ma dobbiamo avere chiare opinioni non solo su un modello di automobile o sulla migliore squadra di calcio, ma anche su qual è il modo migliore per combattere il cambiamento climatico.
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