(Foto credit: Claudio Iannone)

Gigi Riva ha compiuto 78 anni. E nel giorno del suo compleanno è stato presentato ufficialmente il docufilm a lui dedicato: “Nel nostro cielo un rombo di tuono” del regista Riccardo Milani.

Un’opera lunga poco più di due ore in cui la vita del mito rossoblù viene sviscerata nel rapporto con la Sardegna e i sardi.  Ne esce fuori la figura di un hombre vertical, tutto d’un pezzo, coerente nelle scelte, nelle parole, nelle azioni. A tal punto da aver fatto innamorare tutti. Soprattutto nell’Isola.

Il regista Milani ha raccontato ai nostri microfoni come e quando è nato il progetto. Ma soprattutto cosa ha imparato da questo rapporto così saldo tra un uomo e un popolo intero.

Qual è il primo momento in cui Gigi Riva entra nella tua vita?

C’è un quaderno delle elementari da cui parte tutto. Ero in quarta elementare e c’era stata una settimana prima la partita tra Fiorentina e Cagliari, e mi ricordavo i gol, il momento della storia del Cagliari e del campionato. Il Cagliari stava per sconvolgere gli equilibri del calcio italiano. Mi ricordo su tutti Gigi Riva, i suoi gol, i suoi silenzi, il suo essere così lontano dai microfoni. Quel concedersi molto poco. Era affascinante fisicamente e culturalmente. Tutte queste cose mi sono rimaste impresse e non se ne sono più andate.

Quanto si è concesso Gigi Riva a questo progetto?

Sono due anni che ci frequentiamo. È il valore più grande che mi porto dietro da questo progetto. Essere riuscito ad essere una delle poche persone che è riuscito a frequentare la casa di Gigi. Inizia tutto 20 anni fa. 20 anni fa sono andato a cercarlo a Cagliari, tramite amici che avevo sono riuscito ad ottenere un appuntamento con lui. Quel giorno lì l’ho conosciuto ed è stata una emozione enorme. Gli ho proposto in quei giorni di fare questo progetto, che siamo riusciti a concludere solo ora. Ha dettato lui i tempi, com’era giusto che fosse.

Come hai fatto a convincerlo, invece?

Penso che lui si sia fidato. Penso che abbia capito le intenzioni, il desiderio di raccontare quello che lui può lasciare a chi lo guarda. Quello che lui ha seminato nella sua vita, i suoi valori. Parliamo di umiltà, di onestà, di coraggio, di senso della misura. Tutti valori che a distanza di 20 anni sono diventati, ahimè, purtroppo ancora più necessari. Penso che questo sia un Paese che se avesse quei riferimenti lì, sempre, avrebbe un percorso migliore.

Per far capire meglio ai lettori: cosa si vede nel film?

Non ho mai scavato nell’intimo di Gigi. Ho sempre rispettato la sua vita, la sua privacy. Non avevo voglia di scavare nelle pieghe della sua intimità. Quello che volevo è stato quello che ha convinto Gigi: raccontare la sua vita per quello che può lasciare, che può dare. Che può seminare. Spero molto che i ragazzi accolgano questa figura. È un film su Gigi, ma anche sulla Sardegna. La terra che lo ha ospitato, amato e ricambiato. Ho voluto dare un esempio di come i sardi abbiano apprezzato i valori di Gigi. Quanto sono stati in simbiosi. Quanto si siano scambiati vicendevolmente affetto. C’era condivisione di valori. Gigi ha scelto l’isola, ha difeso i sardi quando ha potuto, e lo stesso hanno fatto i sardi con Gigi. È una testimonianza di convivenza civile che va oltre ogni cosa. È uno stato d’amore. Il racconto di trasformazione culturale e sociale di un popolo. Anche grazie a quello scudetto, anche grazie a Gigi Riva.

Rivedendo il docufilm appena completato, cosa hai pensato?

Mi sono reso conto che questa storia qui l’ha scritta Gigi. L’ha scritta la Sardegna. Io ho cercato di farlo in punta di piedi. Quando si entra in casa d’altri, bisogna farlo con rispetto. Sempre. Io ho solo imparato da Gigi Riva e dalla Sardegna. Penso che il film sia un grande “grazie” per quello che hanno fatto insieme da 70 anni a questa parte. Una storia unica.

Il tuo rapporto con la Sardegna , invece, qual è?

La prima volta volta che sono stato in Sardegna è stato nel 1975, in un campeggio a Santa Teresa di Gallura. Allora vivevamo nel fascino della Sardegna e di Gigi Riva in Italia e nel mondo. C’è stato l’anno dello scudetto, della nazionale, degli infortuni. Da lì in poi il mio rapporto con l’isola non si è mai interrotto. Una isola che ho continuato a frequentare, che mi ha dato tanto.

Qual è il messaggio che vuoi mandare a chi guarderà il film?

Questa è una storia di un uomo speciale, di una terra speciale. Che insieme hanno fatto sì che ci fosse un avvenimento che ha inciso sulla storia di questa terra e dell’Italia. Penso lo si debba guardare con gli occhi di chi ama semplicemente il calcio. Il calcio nobile. Il calcio che è uno sport. Che è vita condivisa. Quando il calcio recupera questi valori, lo sport va al di là di tutti i limiti.

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