Nicola Riva è un apprezzato e rispettato professionista. Ha tracciato da sé un percorso, senza mancare gli ostacoli, ma allontanandosi quanto possibile dall’ombra, gigantesca, di un padre, gigantesco.
Il cognome non inganna. Per molti anni è stato il “figlio di“. Ma se oggi parli con chi lo conosce, difficilmente lo descriverà facendo riferimento a “Rombo di Tuono“. Il legame, di sangue e affetto, è imprescindibile. Ma c’è molto altro.
Ecco perché a ridosso del compleanno e dell’uscita del film a lui dedicato, Nicola racconta cosa voglia dire essere se stessi ma anche essere Gigi Riva dal punto di vista di chi lo vive da vicino.
Partiamo dal film in uscita: quando è arrivata la proposta di Milani?
Un primo approccio c’era stato tanti anni fa da parte dello stesso regista. Riccardo è un romantico in tutto quello che fa, è rimasto legato al calcio di un tempo, e ai valori soprattutto. Al tempo, papà era ancora dirigente della nazionale e dunque non se n’è fatto niente. Adesso che papà si è ritirato a vita privata, Riccardo si è dimostrato una persona vera e lo ha ispirato a concedere l’autorizzazione a partecipare a questo film. Tutto il merito è di Riccardo: una persona a modo, di cui ci si può fidare ciecamente. Il rapporto che c’è, è qualcosa di più di un semplice film. Frequenta spesso casa di papà e siamo diventati amici. Se non ci fosse stato questo rapporto di fiducia, difficilmente papà avrebbe concesso la possibilità di fare il film e in particolare di partecipare. Documentari e storie su di lui ce ne sono state tante: da Buffa alla Rai. Ma partecipare è una cosa diversa.
Tanti gli scrittori e i libri che hanno raccontato Riva. Ma c’è qualcosa che non è stato raccontato?
C’è ancora tanto che nessuno conosce di lui. La prima parte di vita ad esempio gli è rimasta dentro. Gli stati d’animo, le emozioni. Quello che ha provato prima di arrivare in Sardegna. Tutti conoscono Gigi Riva, che ha fatto quello che ha fatto nel calcio e non solo. Però quello che è stato nei 18 anni prima, negli anni dell’adolescenza, le delusioni e le milioni di difficoltà e le sofferenze; ecco quei passaggi sono rimasti con lui e con la famiglia più stretta.
Quando hai preso coscienza di essere figlio di Gigi Riva?
Molto presto. Erano gli altri a dirmelo e a ricordarmelo. Era una domanda continua: ma tu sei? Me lo hanno chiesto per anni. Con domande del genere ti rendi consapevole del fatto che tuo papà è molto conosciuto in Sardegna. È un qualcosa di bellissimo, ma complicato. Con cui devi convivere. Perché in tutto quello che fai ci si aspetta sempre qualcosa in più, specialmente nel mondo del calcio. Quando ci ho giocato, il paragone era dietro l’angolo. Se non hai tanta forza, andare avanti non è semplice. Ti puoi scoraggiare per tante cose. Per questo col calcio ho deciso di chiudere. Gigi Riva non lo sarei mai stato, diventare un giocatore mediocre voleva dire essere soggetto a questo tipo di paragone o critica.
Hai fatto una scelta in controtendenza. Sei diventato un professionista e hai trovato la tua strada.
Avevo bisogno di trovare una mia identità in un mondo completamente diverso. Non è stato facile, perché in qualsiasi posto di lavoro c’è il pensiero degli altri. Magari potevano pensare che fossi raccomandato. Invece mi sono costruito dal nulla una carriera. Lavoro in aeroporto, mi sono fatto conoscere finalmente come Nicola. Era lo scopo della mia vita.
Però una carriera nel calcio l’hai avuta comunque, anche se per fare le veci di tuo papà
La passione per il calcio è grande. Ci sono arrivato con una consapevolezza diversa. Ci sono arrivato che non ero più, solo, il figlio di, ma potevo rappresentarlo in un momento in cui avevo già costruito una mia identità. Con tutto l’amore e la passione nei suoi confronti, del Cagliari, dei tifosi del Cagliari. Se avessi fatto solo quello, se fossi rimasto nel mondo del calcio, non l’avrei fatto con la stessa serenità di ora.
Hai mai pensato di fare l’allenatore o il dirigente?
Sì, ci ho pensato. Da dirigente sono vicepresidente della scuola calcio Gigi Riva, sono stato nel cda del Cagliari per due anni. Qualcosa nel mondo del calcio ho fatto. Per fare l’allenatore invece credo che ci fosse necessità di dedicarvicisi anima e cuore, e io ho un’altra attività. Però mai dire mai, la passione è ancora tanta. L’amore per il Cagliari è grandissimo. Ma penso ci si debba arrivare per gradi, facendo tante valutazioni. In questo momento ho una carica e una figura nel mio lavoro, dunque non è una priorità. Rimane comunque un sogno.
Hai vissuto il calcio per diverse generazioni. Quello di oggi com’è?
È cambiato tantissimo, purtroppo. Ci si legava alla maglia in maniera diversa. Era diverso il rapporto tra giocatori e tifosi, tra giocatori e media, tra giocatori stessi. C’era un senso di amicizia profondissimo che poi si sono portati dietro per molto tempo. C’era il rispetto per l’avversario. Mio padre ha giocato contro tantissimi stopper e si sono picchiati tantissimo. Beh, ora non fanno altro che parlare bene l’uno dell’altro, sono rimasti dei legami. Quello che è cambiato è che un giocatore gioca in una squadra sapendo che se non va bene, l’anno dopo giocherà in un’altra squadra senza nessun tipo di problema. Ecco queste convinzioni ai tempi di mio padre non c’erano, dovevi dare tutto per il rispetto dei tifosi, ma anche per la tua carriera. Era importante la squadra con cui giocavi, non pensavi di andare altrove. I contratti erano rinnovati anno dopo anno, e non c’era nulla di scontato. Ora è diventato tutto commerciale. Per quello che ora non c’è più quell’attaccamento alla maglia come c’era un tempo.
Il calcio è cambiato. Più veloce, certo. In tanti, per questo, pensano che Riva non avrebbe potuto segnare un gol al giorno d’oggi
Oggi ci si allena in maniera diversa. Al tempo ci si allenava per quel tipo di calcio. Però penso che mio padre fosse un giocatore per ogni epoca. Era un attaccante moderno: segnava di piede, di testa, era veloce, in area di rigore fisicamente non lo spostavi. Allenato con i ritmi di ora, sarebbe un giocatore da tantissimi gol. Oggi soffrirebbero quelli che al tempo erano giocatori tecnici ma più lenti. Un giocatore lento nel calcio moderno trova più difficoltà.
Gigi Riva è stato rappresentato spesso come un uomo schivo, riservato, che basava tanto la sua vita sul rispetto e sui legami. In questi tempi dove i calciatori devono essere ben presenti anche sui social, come influencer, come l’avresti visto?
Penso sarebbe oggi, com’era allora. Voleva stare fuori da ogni tipo di gossip. Certamente ci è finito anche dentro, perché era difficile non finirci per un giocatore della sua fama. Ma sarebbe stato anti-social totale. Persone della coerenza e dell’onestà intellettuale come mio padre non ne ho conosciuti tanti nella mia vita. Lui non sarebbe cambiato in base alle mode. Sarebbe stato anti-social al 100%
Tornando a te. Qual è il tuo rapporto con i sardi e la Sardegna al di là di tuo padre?
Sono innamorato della Sardegna, dei sardi. Mi sento sardo al 100%, anche se qualcuno ogni tanto prova a dirmi ancora “ma tu non sei sardo”. È vero che papà e mamma non sono sardi, ma caratterialmente e come indole penso di rispecchiarmi tanto nel sardo. È un amore a 360 gradi per tutta la Sardegna, per il Cagliari, per tutto ciò che vuol dire Sardegna. Non l’abbandonerei mai. Ho provato a stare fuori, ma dopo un po’ ti manca. Nonostante i pregi e i difetti. Ma quando nasci qui, sei sardo per sempre e ami questa terra in maniera importantissima.
Leggi le altre notizie su www.cagliaripad.it