“Apprendere che una persona privata della libertà si è tolta la vita nella Casa di Reclusione di Oristano-Massama non può passare sotto silenzio, non solo perché si aggiunge a un lungo drammatico elenco, ma perché è un ennesimo tragico monito alle Istituzioni”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” ricordando che “la condizione detentiva, implica sempre un profondo sentimento di solitudine che le istituzioni sono chiamate a colmare con iniziative adeguate, anche se la decisione di rinunciare a vivere è sempre una scelta insondabile e incomprensibile”.
“In questi ultimi anni anche a causa della pandemia la realtà dell’esecuzione penale dentro gli Istituti Penitenziaria – osserva Caligaris – è stata cancellata. Le forti limitazioni all’accesso dei familiari, solo in parte colmate con i colloqui telefonici e/o con videochiamate e la difficoltà a incontrare i volontari hanno allontanato dall’immaginario collettivo un mondo, peraltro quasi sempre lontano dalla vita quotidiana delle Istituzioni. Gli unici argomenti di rilievo hanno riguardato il sovraffollamento, la carenza di personale o l’aumento dietro le sbarre di persone con gravi disturbi psichici o affette da diverse patologie. In realtà però agli allarmi non sono seguite iniziative in grado di incidere sulla qualità della vita dei detenuti e dei loro familiari”.
“Esaurita la fase più critica della pandemia, le carceri – rileva ancora l’esponente di SDR – non sono state prese in considerazione nella loro problematicità che abbraccia l’intero sistema. L’iniziativa assunta dal Capo de Dipartimento di aumentare il numero delle telefonate dei detenuti, benché sia importante, non basta. Occorrono interventi e investimenti che restituiscano alla vita dentro le celle il ruolo che la Costituzione e l’Ordinamento gli assegna. La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari senza strutture alternative, non solo REMS ma almeno anche quelle, ha provocato una situazione di precari equilibri dentro le carceri che, con un personale sanitario non adeguato, sta riducendo la realtà penitenziaria a luogo di sofferenza. Non si può neppure dimenticare che dietro le sbarre ci sono molte persone con problematiche legate alla droga e alla malattia”.
“Trascorrere le ore su una branda, elemosinando le gocce per dormire, non è utile a nessuno. L’abbandono e l’assenza di prospettive generano una condizione di rabbia repressa che si ripercuote sui familiari e spesso si arriva a gesti inconsulti con atti di autolesionismo estremi. E’ arrivato il momento che tutte le Istituzioni siano presenti con atti concreti e non lascino soli quelli che quotidianamente si trovano a gestire – conclude Caligaris – situazioni estreme che con il carcere non hanno niente a che fare. Non c’è più tempo occorre dare forti segnali. Da Oristano-Massama come da Cagliari-Uta, dove nei giorni scorsi si è registrata la morte di due detenuti, riecheggia un grido di aiuto”.
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