Foto credits: Trix Willems

Quando gli hanno chiesto qual è il suo fumetto preferito, lui ha risposto: “Li adoro tutti”. E forse, quando inizi a disegnare i tuoi personaggi animati sin dall’età di tre anni, è difficile fare un torto all’uno o all’altro. Ma in realtà Mo Willems, popolarissimo illustratore e cartoonist americano, ospite sabato pomeriggio della 17esima edizione di Tuttestorie – Festival di letteratura per ragazzi, ne ha uno a cui tiene particolarmente: è Linus dei Peanuts. “Li ho letti tutti centinaia di volte”, racconta. “Poi mi piacevano tanto anche quelli di Fiep Westendorp, straordinaria illustratrice del ventesimo secolo”.

Appena terminati gli studi, cum laude, alla Tisch School of the Arts di New York, decide di prendersi un anno sabbatico e inizia a viaggiare per il mondo, disegnando un fumetto ogni giorno. Gli stessi son stati poi raccolti nel libro “You Can Never Find a Rickshaw When it Monsoons”. Quando è tornato a New York, dove vive tutt’oggi, è iniziata la sua carriera come autore e animatore per il programma tv per ragazzi “Sesame Street”, per cui ha vinto anche sei Emmy Awards.

Dal 2003 Willems ha scritto tantissimi libri per bambini, molti dei quali son stati acclamati dalla critica che lo ha presentato in più occasioni come l’erede di autori quali Dr. Seuss e Charles M.Schulz. Per il prestigioso settimanale Book Review del New York Times è “il più grande talento emergente degli anni duemila” e nel corso della sua carriera ha ricevuto ben tre Carnegie Medals in Literature e due Geisel Awards, tra i massimi riconoscimenti nell’ambito della letteratura per l’infanzia.

Tra i suoi personaggi animati più conosciuti ci sono senza dubbio “Pigeon” (il Piccione) e il duo “Elephant and Piggie” (Reginald e Tina), ai quali gli organizzatori del Festival Tuttestorie si sono ispirati per scegliere il nome dell’edizione di quest’anno: “Quanto manca?”, che è anche il titolo di una serie di fumetti di Willems che li vede protagonisti. Una delle frasi più ricorrenti dette dai più piccoli e un inno allo scorrere del tempo, in tutte le sue forme.

Dal 2010 si è aggiunto anche “Cat the Cat” che insieme agli altri personaggi ha fatto parte della serie “Lunch doodles”, realizzata con il Kennedy Center Education durante la prima ondata di pandemia da coronavirus e pubblicata anche su Youtube, dove l’illustratore americano, tutti i giorni all’ora di pranzo, dava lezioni di disegno ai suoi fan più affezionati: bambini…e genitori.

In un articolo sul New York Times ha scritto che imparare a leggere è come una liberazione per i bambini, perché si svincolano in qualche modo dal “controllo” genitoriale. È ancora così nell’era del parental control?

Sì mi riferisco a quando i bambini leggono da soli, allora sì hanno loro il controllo. Se devo scegliere tra gli adulti e i bambini, scelgo i bambini. Perché sono esseri umani, non sono più stupidi rispetto a noi, anzi sono più svegli di noi, e poi hanno costantemente a che fare con i nostri piaceri, i nostri ritmi. Quando i bambini entreranno qui, si sentiranno come se tutti gli arredi dicessero ‘non dovresti essere in questa stanza, perché le sedie sono troppo grandi’. Il mio lavoro è quello di dire loro ‘entra pure in questa stanza, non preoccuparti delle sedie’.

Ha scritto poi che non è vero, come si sente spesso dire, che “la creatività apre ad altri mondi”, ma che in realtà non si sa bene dove ci porterà. Che cos’è la creatività per Mo Willems?

Creare qualcosa da zero è piantare un seme, come in un giardino. E come per ogni seme, hai sì la speranza che diventi qualcosa che desideri, ma non puoi controllare quel che diventerà davvero. Se smetti di ascoltare le tue idee come un adulto, allora i bambini inizieranno ad ascoltarti quando leggerai. Credo che un buon libro sia una domanda, non una risposta. Per questo quando disegno una storia, voglio essere consapevole del fatto che stia ponendo una domanda ai miei piccoli lettori. Nell’animazione, per un cartoon, realizzi decine di centinaia di disegni, magari ne fai uno bellissimo che ti piace un sacco, ma non funziona con gli altri novecentonovantanove. E allora lo devi buttare. È la stessa cosa con le idee, la scrittura e le parole. Non importa quanto ami qualcosa, perché quella stessa cosa dev’essere libera di crescere da sola.

Lei è anche un padre. Come è riuscito a trasmettere tutta questa sua creatività a suo figlio?

Ogni notte, per cena, mettevamo sul tavolo un blocco di carta e pastelli. E disegnavamo insieme. Sia prima di cena, sia appena finito. Quando mio figlio era ancora un bambino, così come molti altri, quando gli chiedevo ‘cosa hai fatto oggi?’ lui rispondeva sempre ‘niente’. Ma disegnava, tutto quel che per lui era importante nella sua vita, come una metafora. E quindi parlando dei suoi disegni iniziavamo a parlare di cose reali, e di quel che gli era successo durante la giornata. Quando i genitori mi dicono ‘voglio che mio figlio legga’, la mia risposta è molto semplice: ‘e tu leggi?’. Perché se tu leggi, allora anche io, da bambino, lo farò. Perché mi stai dimostrando che leggere è figo. Lo stesso succede quando i genitori dicono ai figli ‘non so disegnare’, e allora anche loro smettono di farlo.

Il remake Disney de La Sirenetta, interpretata dall’attrice afroamericana Halle Baille, è stato tacciato di essere “politicamente corretto”. Ma non è che forse questa nuova versione potrebbe aiutare ad ampliare l’immaginazione degli spettatori più piccoli?

Assolutamente sì. Una delle metafore che si usa spesso è che i libri sono come finestre, specchi e porte. Quindi per tutte quelle persone che non si vedono così spesso rappresentate, avere quello specchio è molto importante. Perché si sentono parte della realtà. Si affacciano a quella finestra e scoprono che c’è molto di più là fuori. E per tutti noi, avere quelle porte significa che possiamo incontrare tantissime altre persone molto differenti da noi e tra loro. Una delle mie battaglie che porto avanti anche oggi in “Elephant and Piggie” è che il primo è un ragazzo mentre la seconda una ragazza, ma entrambi non hanno tutti quei simboli che vengono socialmente attribuiti ai due generi: Piggie non indossa né un make-up né un vestito. E molte volte i bambini nemmeno se ne accorgono, perché la verità è che non ha nessuna importanza per loro. Cerco sempre di rendere i miei personaggi più interessanti e inclusivi.

Uno dei suoi personaggi più riusciti è il Piccione, che prende un po’ in giro la nostra società che continua a propinare tutta una serie di “fai questo” e “non fare quello” ai più piccoli. Come vengono accolti dai genitori? E dai bambini?

Be è il rock and roll di questa storia [scherza]. Da sempre i bambini vengono sgridati perché non seguono gli “ordini” dei genitori. La cosa divertente è che i bambini si rispecchiano molto nel Piccione. È una sorta di “vendetta di potere”: finalmente un protagonista che come loro non vuole andare a scuola, svegliarsi la mattina presto e fare i compiti. Ma allo stesso tempo, il Piccione è così pienamente se stesso, così pienamente apologetico verso se stesso, che anche noi adulti ci vediamo rappresentati in quelle azioni, anche se non ci comportiamo così. Vorremmo, certo, ma non lo facciamo. Non credo comunque che sia necessariamente una questione di adulti contro bambini, anzi: anche gli adulti a volte vorrebbero potersi comportare così di fronte al loro capo – e lo farebbero davvero! Spero di essere più universale di così.

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