“La Sardegna potrebbe ricevere energia dal sole, dal mare e dal vento molto di più di quanto si stia facendo ora”. Così Andri Snaer Magnason, intellettuale, poeta e attivista ambientale islandese, ha risposto a una delle tantissime domande fatte dai bambini presenti venerdì pomeriggio nella Sala Zizù dell’Exma, a Cagliari, in occasione della 17esima edizione del Festival di letteratura per ragazzi Tuttestorie.

Un tema, quello ambientale, che gli sta a cuore fin da quando era ragazzo. Un “figlio d’arte”, si potrebbe dire, dato che anche i suoi nonni si battevano per la salvaguardia dei ghiacciai islandesi già a metà del secolo scorso. Entrambi fondatori dell’Iceland Glacial Research Society, nel 1955 partirono per un viaggio di ricerca di tre settimane per mappare un ghiacciao che all’epoca non aveva neanche un nome e che oggi viene chiamato ironicamente Brúðarbunga, “La gobba della sposa”.

Magnason si occupa già da tempo di divulgazione scientifica, e lo fa soprattutto attraverso i suoi libri per l’infanzia come “Lo scrigno del tempo” (Giunti, 2019), “Il tempo e l’acqua” (Iperborea, 2020) e “La storia del Pianeta Blu” (Iperborea, 2022). Per l’autore islandese le nuove generazioni sono il vero cambiamento ed è a loro che si rivolge per provare a segnare una svolta nel dibattito, attualissimo, sul clima, che sembra invece non aver coinvolto più di tanto i più grandi.

Nel 2016 la missione di Magnason si fa sempre più sentita e decide così di candidarsi alle elezioni presidenziali con una coalizione indipendente, arrivando terzo con il 14,3% delle preferenze. Il suo programma, neanche a dirlo, sarà tutto incentrato sulle azioni da portare avanti per fermare quel che ancora oggi sembra un fenomeno inarrestabile: lo scioglimento dei ghiacciai. Ma non solo, quel che si mette in testa l’attivista islandese è cercare e trovare delle parole che rendano il dibattito più coinvolgente e accessibile a tutti. Da scrittore, infatti, si rende conto che quel che manca è la consapevolezza di tanti dei termini che si stanno utilizzando per parlare di cambiamento climatico.

Si potrebbe, però, partire dalle isole. Islanda e Sardegna, in primis. “Le isole sono luoghi speciali”, dice l’autore islandese durante il suo intervento, “perché puoi conoscere tutti o quasi e puoi veramente comprendere l’influenza che puoi avere sull’ambiente”. Per Magnason, i sardi non sono poi così diversi dagli islandesi, perché condividono quella sensibilità che solo chi abita di fronte al mare conosce: “Le isole rendono le persone più connesse con gli oceani”, continua, “perché sentono in maniera più forte i problemi di cui soffre il mare, lo vedono coi propri occhi: dalla plastica in spiaggia ai gabbiani intrappolati in qualche busta”. “Gli isolani”, chiude Magnason, “dovrebbero essere presi come modello: siamo degli ambasciatori del mare”.

Nel 2019 pubblicava un articolo sul Guardian in cui lanciava l’allarme sullo scioglimento dei ghiacciai in Islanda, e più in generale sul cambiamento climatico. È cambiato qualcosa nel frattempo?

Sì è cambiato tutto velocemente. La consapevolezza è maggiore, pensiamo che nel frattempo c’è stata anche la pandemia da Covid, ma quel di cui abbiamo davvero bisogno sono azioni più forti. Ad esempio, in Sardegna il passaggio alle rinnovabili potrebbe avvenire molto più rapidamente, e in parte sta già accadendo se si pensa alle piccole città che si stanno attivando in questo senso. Ma a livello globale dobbiamo agire più velocemente.

Nel suo libro “Il tempo e l’acqua”, che presenta oggi, riflette sul perché non ci sentiamo così coinvolti da un fenomeno che invece è sotto gli occhi di tutti. Stiamo usando le parole giuste per raccontarlo?

Penso che alcune persone stiano usando le “giuste” parole per alcuni, ma abbiamo bisogno di diffondere lo stesso messaggio in ogni parte del mondo. Le persone hanno bisogno di esprimersi a riguardo nel giusto modo. Ci si può chiedere come mai le reazioni a un fenomeno così imminente non siano abbastanza. In alcuni casi, queste parole sono molto nuove per noi: se pensiamo a termini come “democrazia” e “diritti delle donne”, ci hanno impiegato cento anni per essere accolte e assimilate da tutti. Il problema è che noi non abbiamo cento anni a disposizione per reagire al cambiamento climatico.

Ce n’è qualcuna in particolare a cui ha pensato?

Diciamo che il punto non è tanto che le persone non capiscono quelle parole, ma che non ne sono pienamente consapevoli. Ad esempio la parola “acidificazione degli oceani” è un termine piuttosto nuovo: è stato creato nel 2004, e si riferisce al fatto che gli oceani assorbono la CO₂ quindi questo porta alla diminuzione del PH con conseguenze terribili. Per molte persone questo termine non ha alcun significato, sebbene sia parte del problema relativo al riscaldamento globale. Probabilmente dovremmo iniziare a parlare alle persone giuste: una cosa, ad esempio, è pensare a un orizzonte temporale che arriva fino al 2100, ma la mia generazione aveva come punto di riferimento il 2000. C’è una sorta di strana disconnessione con il tempo e la velocità di ciò che sta succedendo. Ho portato avanti anche degli “esperimenti psicologici” che faccio anche con i miei figli, chiedendo loro di pensare fin quando vivranno le persone a cui vogliono bene: per mia figlia, quell’orizzonte è il 2170.

Nel 2016 si è candidato alle elezioni presidenziali in Islanda, anno in cui è stato eletto anche Donald Trump che fin da subito ha negato il cambiamento climatico. Secondo lei siamo in una nuova fase o il “trumpismo” è ancora vivo e vegeto?

Sì ci sono ancora persone che negano il cambiamento climatico, ma oggi stanno diventando sempre meno influenti e credibili. Le persone hanno potuto vedere coi loro occhi gli effetti reali del riscaldamento globale, in qualsiasi parte del mondo.

Prima di essere un attivista ambientale è uno scrittore. Lei che ha avuto modo di avvicinarsi alla politica, crede che oggi manchino personalità dal background umanistico?

Dopo essermi candidato, ho imparato ad avere più rispetto dei politici: è molto difficile, stressante, caotico prender parte al processo democratico. Ma credo che più persone dovrebbero candidarsi, intendo non soltanto quelli con un background economico, giuridico o che hanno fatto carriera negli anni. In Islanda abbiamo molte personalità di successo che hanno seguito un percorso umanistico, come la nostra ex presidente Vigdís Finnbogadóttir, la prima donna al mondo ad essere stata eletta democraticamente, con una formazione in letteratura francese e teatro. L’importanza dell’avere queste persone al comando è che sono abituate a collaborare con i settori più disparati e a sviluppare modalità alternative di risolvere i problemi. Per quanto mi riguarda, il più grande rammarico sarebbe stato che se avessi vinto, non avrei potuto continuare a scrivere [sorride].

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