Tra le rare scrittrici sarde contemporanee, Rossana Copez, cagliaritana, negli ultimi dieci anni si è tenuta sempre un po’ in disparte dal “palcoscenico” per non dare l’impressione che si stesse approfittando della fama, quella certa, del marito e padre di sua figlia, Sergio Atzeni, con il quale ha scritto anche il suo primo libro “Fiabe sarde”, pubblicato nel 1992 da Condaghes.

Ma il primo incontro con la letteratura, a cavallo tra storia e leggenda, è avvenuto durante gli anni della specializzazione in Studi Sardi all’Università di Cagliari. Dopodiché ha iniziato a insegnare Italiano e Storia alle scuole superiori, dove consigliava dei libri da leggere ai suoi alunni per mantenere viva in loro la fame di curiosità e conoscenza.

Molto attiva tra le fila del PCI, si è sentita per anni “al riparo” insieme ai suoi compagni: un termine, questo, che deriva dall’espressione latina “cum panis”. Ma presto si è dovuta ricredere, perché saranno proprio certe facce conosciute, quelle con cui ha trascorso gli anni della sua giovinezza e ribellione, che volteranno le spalle a lei e al suo primo grande amore, Gianni, giovane dirigente del partito che verrà travolto dalla follia per non aver retto la pressione delle sue responsabilità.

Nel frattempo l’autrice cagliaritana collabora con quotidiani e riviste e cura diverse opere sulla cultura e la storia della Sardegna, come in “Sagre e feste” (Janus, 1987) e “Il porto di Cagliari” (Janus, 2002). Passione e brama di ricerca, di ritorno alle origini per comprendere appieno il presente, che condividerà con il suo secondo compagno di vita, Sergio Atzeni, appunto. Una storia che inizia con i migliori auguri da parte del padre Licio, a lungo segretario di federazione del PCI, e inizia via via a incrinarsi quando lui decide di fare della scrittura la sua unica ragione di vita. Lasciando moglie e figlia per andare alla ricerca di sé. Una ricerca che, nonostante il dolore, Rossana riuscirà a cogliere e da lì inizierà un nuovo ripensamento, questa volta sulla sua attività professionale. Nel 2004 pubblicherà il romanzo “Si chiama Violante” (Il Maestrale), dove racconta la storia di Violante Carroz, la prima latifondista in Italia, e nel 2011 viene presentato “Terra Mala” (Il Maestrale), scritto insieme a Giovanni Follesa, che riprende invece una leggenda sarda.

Dopo tutti questi anni passati a cercare e trovare delle risposte, Rossana Copez pubblica “Cercandocieli” (Il Maestrale), che ha presentato domenica 11 settembre a Guasila al Festival dell’Altrove, dedicato al noto intellettuale sardo Giulio Angioni. Qui viene messo ordine a tutto quel che è successo, a quel che si è scritto e raccontato, ma sempre in superficie.

Ha iniziato col raccontare fiabe sarde per bambini e oggi presenta il suo libro, si può dire, autobiografico. Com’è andata? C’è un filo conduttore tra le due cose?

C’è sempre un filo conduttore tra il primo libro e quello appena uscito. Con “Fiabe sarde” inizia il mio percorso di scrittura vera e propria, edita. C’è un legame tra le vicende vissute oppure frutto di ricerca e quelle che invece derivano dalla leggenda.

Da cosa è nata l’urgenza di voler “raccontare tutto”?

Lo dico con sincerità: io ormai ho una certa età e ad una certa età tutta la vita si può guardare un po’ da lontano come se fosse un quadro. Quando vivi gli eventi in prima persona il presente ti sopraffà. Ad un certo punto hai bisogno di rivedere il passato, un po’ perché è giusto che il passato passi, e poi per dare un senso. E lì si ricucisce un po’ il filo. Infatti non è tanto un racconto autobiografico, ma racconta dei percorsi autobiografici.

Nel suo libro scrive di non voler più essere etichettata come “la moglie di” Sergio Atzeni.

Sì io ho alle spalle anche una storia di femminismo, per cui diciamo che le donne hanno combattuto in quegli anni per non essere “figlia di”, e poi “moglie di”. A me questo è capitato. Soprattutto dopo la morte di Sergio, io per dieci anni non ho parlato perché non volevo apparire come colei che voleva “approfittare” della fama di qualcuno che non c’è più. Per cui ho dovuto lottare per affermare la mia identità. Non solo di donna, ma anche a livello professionale.

Tra l’altro il 6 settembre scorso è stato l’anniversario della sua morte. C’è qualcosa che non è ancora stato detto e che andrebbe invece ricordato per capirlo pienamente?

In questo libro aggiungo qualche particolare, da dietro le quinte. Però posso già annunciare in arrivo un’edizione di “Passavamo sulla terra leggeri”, edita da Sellerio, e con prefazione di Marcello Fois, che darà una sua interpretazione del libro.

Tornando al libro, racconta di aver “incontrato” per la prima volta a sedici anni quella sensazione indescrivibile di stare per morire. E invece lei l’ha descritta. Quanto ci è voluto a metterla nero su bianco?

Si può fare ora, non quando stai vivendo le cose, perché sul momento non ne hai la completa percezione o perlomeno consapevolezza. E invece oggi, con la giusta distanza da quegli avvenimenti, son riuscita a raccontarlo.

La fede è un altro tema costante della sua storia: da quella verso il proprio partito a quella religiosa e, perché no, per i tarocchi. Lei però non sembra essersi mai convinta davvero. Cos’è che la frenava?

È la ricerca. La ricerca di risposte. A volte quando stai male, quando hai il cuore a pezzi, quando ti senti tradito, quando ti senti veramente in balìa delle onde, cerchi delle risposte. E allora è stato giusto percorrere diverse strade: da quella magico-esoterica, a quella fideistica e così via. Ma ognuno di questi percorsi non esclude l’altro, perché poi arrivi sempre che il cielo ce l’hai dentro di te.

Durante la sua attività da insegnante suggeriva un libro da leggere ogni 15 giorni ai suoi alunni, che in cambio gliene proponevano degli altri. Cosa leggono i giovani oggi?

Allora diciamo che oggi mi posso basare sui libri che mi chiedono di presentare nelle scuole. E sono soprattutto gialli, polizieschi in particolare, quindi evidentemente è un genere che piace. Io avrei qualche perplessità, ma c’è libro e libro. Un libro è valido quando ti lascia qualcosa su cui riflettere.

Nel suo libro scrive che sono le storie a renderci immortali e che si è decisa a tornare alla fotografia proprio per “fermare” quell’attimo. Ci è riuscita?

Sto cercando una bella macchina fotografica in questi giorni. Sì l’ho scritto e ora lo voglio proprio fare [sorride].

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