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Gli arrivi nel mese di agosto in Sardegna hanno superato di gran lunga quelli del periodo pre-pandemia, con quasi un milione di presenze. Numeri che fanno ben sperare, dopo due anni di difficoltà per il settore turistico, e in particolare per alberghi e strutture ricettive.

In mezzo a chi si dice soddisfatto, però, ci sono anche coloro che rimpolpano il cosiddetto “turismo sommerso” che, stando all’ultimo rapporto Crenos (2020) incide per il 61% nel settore in questione. A conti fatti, si parla di sei turisti su dieci che restano al di fuori delle statistiche ufficiali: delle vere e proprie “presenze fantasma” che scelgono seconde case, affittate in nero, oppure b&b che svolgono la propria attività sottotraccia.

Se si analizza il fenomeno a livello nazionale, la Sardegna detiene tristemente il primo posto, seguita dalla vicina Sicilia, con il 59% di turismo sommerso, e la Calabria, che registra il 58% di presenze non rilevabili.

Un trend negativo per i territori comunali dell’Isola che finiscono, inconsapevolmente, per offrire servizi gratis a chi guadagna sulle spalle di coloro che invece propongono le loro strutture in modo regolare e pagando tutto fino all’ultimo centesimo.

Tutto confermato in un’intervista all’Unione Sarda dal presidente di Federalberghi Sud Sardegna, Fausto Mura: “Il problema è che non riusciamo a sapere che fine fanno i turisti. Il mercato del nero è quasi il 65% di tutto il mercato turistico, perché è la differenza tra i passeggeri che arrivano, al netto dei sardi, e le presenze negli alberghi e nei b&b”. Inevitabile quindi l’impatto negativo in termini di “concorrenza sleale” nei confronti di chi lavora in regola. “È un danno anche per i Comuni – aggiunge -. Se un paese passa da 3mila a 30mila abitanti deve sapere dove stanno questi ospiti visto che vanno affrontati costi su nettezza urbana, acqua, reflui, strade e sicurezza”.

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