Chi è stato in Valle della Luna, tra i punti più a nord della Sardegna, in territorio comunale di Santa Teresa di Gallura, avrà senz’altro visto i giovani della comunità hippy più grande d’Europa che da oltre quarant’anni abitano le rocce, il mare e gli immensi spazi verdi dell’area. Una vita lontana dalla società moderna, a contatto con la natura.
Da un paio d’anni, però, questo “esperimento sociale”, che ha attratto migliaia di turisti da ognidove, si è trasformato in un grave problema di igiene e sicurezza. A denunciare il fatto è l’associazione ambientalista Capo Testa Republic, che dal 2020 si batte per valorizzare, promuovere e tutelare il promontorio di Capo Testa, che raccoglie i tre panorami mozzafiato di Cala di l’Ea, Cala di Mezu e Cala Grande. Gli ambientalisti vorrebbero trasformare le tre aree in un parco naturale, aperto a tutti. “La cosiddetta Valle della Luna è un’area naturale di inestimabile valore, da anni miraggio di libertà giovanili che, soprattutto nei mesi estivi, viene presa d’assalto da ragazzi provenienti da ogni parte d’Italia, e non solo, e si trasforma in una realtà di sporcizia, illegalità e piccoli abusi edilizi”, spiega l’associazione, nata per iniziativa di alcuni abitanti di Capo Testa ma che comprende anche molti residenti di Santa Teresa Gallura e villeggianti storici.
“D’estate sono centinaia i campeggiatori abusivi, che fanno i loro bisogni ovunque e lasciano montagne di rifiuti di cui si deve fare carico il Comune – denunciano gli ambientalisti -. Siamo arrivati al punto che, quando le case abusive create nelle grotte sono tutte occupate, lo spirito imprenditoriale dei cosiddetti hippies prende il sopravvento e, oltre alla vendita di bevande, panini e gadget, vengono affittate delle tende, oltre alle centinaia portate zaino in spalla dai ragazzi in cerca di vacanze alternative. Il divieto di accendere fuochi viene violato ogni sera, col risultato che dal 1977 ci sono già stati cinque incendi disastrosi, e nei giorni di vento si riattizza il timore che si propaghino di nuovo le fiamme dei numerosi falò accesi negli anfratti. Gli occupanti violano sistematicamente anche il divieto di pesca, per distribuire fritture a pagamento, così come quello di raccogliere dall’arenile le conchiglie, che cedono in cambio di un’offerta da parte dei visitatori”. Un problema d’igiene, quindi, e ambientale, se si pensa alla mole di spazzatura prodotta, che costa alla comunità 50.000 euro l’anno.
“Il dialogo con il Comune di Santa Teresa è costante – prosegue l’associazione -, ma serve il sostegno di tutte le istituzioni, regionali e nazionali, non soltanto di quelle locali, affinché tutti possano tornare a fruire liberamente della zona”.
“Torniamo anche alla toponomastica originale, che rivela la natura antropologica, archeologica e orografica dell’area, dove sono presenti antiche cave e sorgenti storiche – aggiunge Capo Testa Republic -. Si tratta di un ecosistema molto fragile, da curare e proteggere. Serve un intervento deciso dello Stato, che deve prendersi l’onere della gestione e del controllo di tutto il suo territorio, soprattutto delle aree formalmente dichiarate protette e tutelate, e ripristinare la legalità. Nell’interesse di tutti”.
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