Prima pagina Vaticano, parla Mincione: “Becciu voleva investire in Angola, avrebbe perso tutto”

Vaticano, parla Mincione: “Becciu voleva investire in Angola, avrebbe perso tutto”

Oggi il finanziere Raffaele Mincione, coinvolto nel processo sui fondi alla Segreteria di Stato, è stato sentito nella ventunesima udienza in Vaticano: "Li ho salvati dal disastro"

Oggi il finanziere Raffaele Mincione, coinvolto nel processo in Vaticano sui fondi alla Segreteria di Stato, è stato sentito nella ventunesima udienza nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani per rispondere alle accuse di peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio.

“L’investimento a Londra – dichiara il finanziere di fronte al promotore di giustizia Alessandro Diddi – era senz’altro più ‘conservative’ per la Segreteria di Stato rispetto al progetto petrolifero in Angola. Con questo era chiaro che avrebbero perso tutto. Visto anche l’andamento del petrolio sarebbe stata la tomba finale”. Lo stesso Mincione infatti fece cadere il progetto Falcon Oil, proposto dal cardinale Angelo Becciu, per l’estrazione petrolifera in Angola e poi si propose per l’ingresso nella proprietà del palazzo di Sloane Avenue, a Londra.

Il finanziere ha confermato la sua conoscenza, a partire dal 2017, dell’altro broker Gianluigi Torzi – cui si affidò la Segreteria di Stato l’anno successivo per uscire dal Global Opportunity Fund di Mincione. Dopodiché ha affermato di non aver mai avuto contatti col monsignor Becciu per poi spiegare le fasi con cui si arrivò, nel novembre 2018, al passaggio delle quote del palazzo londinese al nuovo fondo di Torzi: il Gutt.

“Io avevo sempre saputo – dice Mincione – che la Segreteria di Stato voleva vendere il palazzo, non mi era stato mai detto che volesse comprarlo. All’inizio si era creato un malessere per l’esistenza del lock up (il vincolo all’investimento di cinque anni più due). Le pressioni sono aumentate tra il gennaio e il marzo del 2018. Poi si sono fatte ancora più forti in giugno. Tutto il mercato sapeva che alla fine volevamo venderlo a quella cifra”. Infatti, l’investimento previsto di 100 milioni di sterline per la ristrutturazione e valorizzazione del palazzo, in modo da portare il suo valore a 350 milioni, non è stato mai andato in porto. Al contempo, venne fatta un’offerta di vendita da Luciano Capaldo – socio di Torzi e poi consulente della Segreteria di Stato – allo sceicco Salah, ma anche in questo caso non si arrivò al dunque. Nello stesso periodo il finanziere viene coinvolto nella scalata alla Carige, congelata da Bankitalia, e proprio tramite Torzi inizia a ricevere segnali negativi dalla Santa Sede: “In Vaticano non ti amano – gli dice Torzi -, ma non preoccuparti, ti faccio un favore. Divento io il frontman. Mi prendo la gestione dell’immobile”. In realtà il broker stava già elaborando la sua alternativa.

Così la Segreteria di Stato, attraverso l’Ufficio amministrativo di monsignor Alberto Perlasca, delega direttamente Torzi come proprio mandatario per rilevare l’immobile di Sloane Avenue e tra il 20 e il 22 novembre si raggiunge l’accordo. Il tutto viene comunicato a Mincione e lui abbandona il progetto: “Pensavo – racconta in aula -, mi portano via una cosa che io avrei voluto tanto sviluppare. Mi dicono che c’è l’intenzione di prendere tutte le quote del palazzo e trasferirle a Torzi come gestore. Io affido la cosa al mio ufficio legale che a sua volta incarica lo studio Herbert-Smith. E da allora non me ne sono più voluto occupare. Potevo anche far valere il lock up e trattenere le quote, ma non l’ho fatto”. La sua contropartita è stata di 40 milioni di sterline, ma con la certezza che la Segreteria di Stato sia stata la causa delle sue stesse perdite.

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