Chi è stato in Sardegna, avrà senza dubbio visto almeno una delle sue opere lungo la statale 131, che accompagnano i viaggi di tanti turisti, residenti in sosta o di ritorno a casa. Sono i graffiti di Manu Invisible, street artist fin dai primi anni duemila, che non smette di stupire, provocare e affascinare chi si ferma a guardarli.
Ci è voluto del tempo perché i suoi lavori venissero riconosciuti come opere d’arte. Precisamente, è stato nel 2016 che, dopo essere stato accusato di aver “imbrattato” una parete delle Ferrovie dello Stato, la Cassazione lo ha prosciolto in via definitiva riconoscendone la dignità artistica.
Da quel momento, qualcosa è cambiato. Le collaborazioni sono via via diventate sempre più numerose, anche con istituzioni quali università, gallerie d’arte e musei, brand isolani e non solo. Il giovane artista, diplomato al Liceo artistico “Foiso Fois” di Cagliari, è arrivato a farsi conoscere fino a Milano, Firenze, Parigi, Londra, Bristol, Lugano, Berlino e Nanyuki, in Kenya, dove ha realizzato tre opere murali per la “Casa Tumaini”, che lavora da oltre dieci anni con i bambini sieropositivi.
Nessuno lo ha mai visto in volto, almeno pubblicamente. Manu Invisible gira con una maschera nera lucida, ispirata alla geometria e alla notte. Un tocco di classe, che solo chi punta alla luna riesce a indossare.
Sono passati vent’anni dal tuo primo lavoro. È cambiata, a tuo avviso, la percezione comune rispetto alla street art e come sono cambiati, invece, i tuoi lavori?
In tutti questi anni la società si è educata al bello, al nuovo e al possibile. Si sono susseguite oltre che tante opere anche tanto scambio tra artisti da tutto il mondo. I miei lavori di pari passo sono cambiati, influenzati da tutto ciò che hanno attorno: il rapporto tra guerra e pace, buio e luce, nero e bianco.
Nel 2016 la Cassazione ha riconosciuto la dignità artistica delle tue opere. In diversi casi, però, sembra che non tutti riescano a coglierne il valore: penso a quando è stato cancellato il tuo murale “Telecinesi” da una parete di un’abitazione a San Sperate.
La street art è una delle correnti artistiche più controverse degli ultimi anni, è una forma d’arte collettiva e sociale, e questo la pone e la espone a molteplici rischi e dinamiche da parte di chiunque.
Da pochissimo poi c’è stato anche uno “screzio” con la Soprintendenza di Cagliari riguardo la rimozione di un’altra opera sulla Torre di Mariano II, a Oristano. Ci racconti com’è andata?
Si tratta della mia prima e unica collaborazione con Filippo Martinez, non mi va di accennare nient’altro, anche perché il capitolo è ancora aperto.
Il tuo murale “Rifletti” contro l’invasione russa in Ucraina ha scaturito un forte dibattito. Secondo te l’arte può avere una qualche influenza sulla politica?
L’arte è l’elaborazione di un concetto, e come tale può essere non solo influente, ma anche causare forti tensioni politiche, se sviluppata nel giusto modo.
Le tue opere sono disseminate in giro per la Sardegna, anche nei paesi più “periferici”. Quanto conta la dimensione artistica nella lotta allo spopolamento e in generale nella rigenerazione di un centro abitato?
Il tentativo di cucire preziosi progetti artistico culturali è solo una delle tante forze che devono entrare in sinergia per questa causa. Posso dire che ha un grosso impatto sociale a breve o a lungo termine.
Lavori tanto anche nelle scuole e nelle università. Come viene percepito il tuo lavoro dalle generazioni più giovani? E dai docenti? Pensi che manchi qualcosa in Sardegna in termini di formazione?
Capita sempre più spesso di entrare dentro le aule scolastiche, i giovani sono incuriositi, i docenti anche. Spesso ci si trova addirittura a lavorare in squadra per sviluppare un murale comune. Questo tipo di pratica aumenta il senso dello stare assieme e lo spirito di squadra. Credo manchino diverse specialistiche, tra cui anche quella di Architettura, corsi e formazioni di natura accademica, come ad esempio un’Accademia di Belle arti statale, con connessioni anche all’estero.
Sono diversi gli artisti sardi che producono street art in Sardegna. Avete mai pensato di creare una rete che supporti e valorizzi i vostri lavori e magari ne faccia emergere di nuovi?
È davvero un’idea molto valida, la Sardegna necessita di un cuore pulsante del genere, occorre un ‘quartiere generale’ che possa accogliere questa ambiziosa idea.
A cosa stai lavorando ora? Ci puoi anticipare qualcosa?
Il mio primo muro mangia smog, un lavoro per un campetto da basket, un altro ancora per Enel Energia, e una parete d’ingresso di un dormitorio per indigenti e donne con difficoltà.
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