Non più tardi di una settimana fa sentendo quei vocali di whatsapp che invitavano a fare le scorte di cibo come in tempo di guerra, molti di noi hanno storto il naso. La solita bufala terroristica che gira in chat. La solita fake.
In tanti hanno guardato con un beffardo sorriso di sufficienza chi – tra vedere e non vedere – quelle scorte le ha fatte davvero, saccheggiando gli scaffali dei supermarket di mezza Sardegna.
Oggi, al quinto giorno di sciopero degli autotrasportatori sardi, quegli whatsapp, per cui si è gridato al procurato allarme, hanno un significato diverso. Amaro.
La situazione sta precipitando veramente e la protesta per il caro del gasolio – lievitato dopo l’esplosione della crisi in Ucraina – sta davvero paralizzando l’economia della Sardegna.
I perversi meccanismi della grande distribuzione delle derrate alimentari – per cui in Sardegna arriva il cibo della Penisola e in Italia va quello sardo – sono andati in tilt.
La frutta sarda destinata al resto d’Italia sta marcendo nelle banchine dei porti sardi, così come i formaggi e gli altri latticini freschi prodotti dai nostri caseifici, frutto del lavoro dei nostri pastori. Mentre i prodotti destinati alle nostre tavole e agli scaffali dei market in cui ci approvvigioniamo stanno marcendo nei container bloccati nei porti sardi, dove le grandi navi della Grendi, della Tirrenia e della Grimaldi sono in rada. In attesa di scaricare le merci.
Anche i corrieri nazionali, attivi persino nel drammatico periodo della pandemia, stavolta hanno sospeso temporaneamente le consegne da e per la Sardegna.
Il blocco dell’autotrasporto sta mettendo in ginocchio l’intera economia sarda.
Se lo sciopero non sarà revocato e se sarà impedito l’approvvigionamento di materie prime e l’inoltro di prodotti finiti, “centinaia di realtà e filiere manifatturiere e industriali dell’Isola, di tutti i comparti economici, dall’agroalimentare al meccanico, dal lapideo al chimico, dalle costruzioni al sugheriero, saranno costrette al blocco dell’attività”, ha dichiarato allarmata la Confindustria isolana, che ieri si è rivolta alle autorità: bisogna fermare una protesta che pur giusta nelle motivazioni è “inaccettabile e da contrastare con fermezza nelle sue modalità di espletamento”.
Ma stavolta i camionisti sono stati di fermi. Perché la disperazione porta a questo. Doveva essere sciopero ad oltranza e sciopero ad oltranza sarà: quanto meno fino al 31 marzo se non ci saranno risposte concrete.
In questa situazione disastrosa – che passata l’emergenza richiederebbe una riflessione seria sull’irrazionalità del nostro sistema di distribuzione delle derrate alimentari – gli scaffali dei supermercati, che solitamente hanno nei magazzini scorte per non più di una quindicina di giorni, iniziano a svuotarsi veramente.
Come in quei vocali di whatsapp. Che per una volta dicevano la verità.
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