I Giganti di Mont’e Prama stanno facendo il giro del mondo. Con la mostra “Sardegna Isola Megalitica. Dai menhir ai nuraghi storia di pietra nel cuore del Mediterraneo”, allestita con reperti archeologici provenienti dai musei di Cagliari, Nuoro e Sassari e promossa dalla Regione coi fondi Por Fesr Sardegna 2014-2020, hanno fatto tappa a Berlino, San Pietroburgo e Salonicco.

Un mistero avvolge la loro figura, tra sacro e profano, ma oggi si è arrivati a un nuovo approdo. Durante il convegno scientifico “Bioarcheologia a Mont’e Prama, un approccio multidisciplinare”, tenutosi sabato sera a Cabras, sono stati Salvatore Rubino, Luca Bonoroli e Raimondo Zucca a svelare chi c’è dietro lo sguardo concentrico dei Giganti. “Erano giovani fra i 15 e i 30 anni, tutti maschi, tutti morti precocemente, con uno stress importante avuto alla fine dell’infanzia e con caratteristiche del Dna che si riscontrano nelle popolazioni sarde del Neolitico, dell’età nuragica e in percentuale più bassa fra i sardi di oggi”, spiegano i due esperti alla Nuova Sardegna, in occasione della prima giornata di “Verso Archeologika 2022”, la due giorni promossa dall’assessorato regionale al Turismo e dalla Fondazione Mont’e Prama, per introdurre la grande manifestazione di Cagliari.

“La Bioarcheologia – ha detto Bonoroli – può essere definita come lo studio biologico di noi stessi attraverso lo studio biologico dei nostri antenati e dei loro consimili (animali, piante, etc.). Nell’analisi degli scheletri e dei resti rinvenuti a Mont’e Prama ci siamo chiesti: sono tutti maschi? Che età hanno? Hanno subito degli stress significativi nella loro esistenza? Sono nati dove sono stati sepolti?”.

Domande alle quali non si può ancora rispondere con certezza, ma che possono essere un punto di partenza per fare delle “buone considerazioni”. Attraverso lo studio biologico dei denti, infatti, è stato possibile determinare il range di età e il sesso maschile dei soggetti analizzati. Di più, con l’esame istologico dei denti si è arrivati a concludere che gli stessi giovani soffrissero di stress a partire dall’età di 12 anni.

Ma da dove arrivavano questi Giganti? Erano autoctoni o immigrati? Per rispondere, gli studiosi hanno fatto riferimento all’analisi degli isotopi radiogenici dello stronzio, con cui è stato possibile constatare che si trattasse perlopiù di individui locali. L’analisi del Dna, poi, ha permesso di identificare negli stessi caratteristiche genetiche riscontrabili nei sardi del Neolitico e dell’età nuragica, e presenti, in percentuale più ridotta, fra la popolazione sarda di oggi.

La ricostruzione facciale, poi, è stata possibile grazie al ritrovamento di un cranio compatto, nella tomba A, e con il lavoro del professor Vittorio Mazzarello e della dottoressa Manuela Uras, in collaborazione con un centro specialistico inglese in cui vengono fatte anche le ricostruzioni per il riconoscimento di cadaveri. “Gli studi biologici hanno fornito dati preziosissimi per il futuro – ha affermato Raimondo Zucca – e fanno cadere una delle ipotesi che negli anni erano state avanzate, ovvero che si potesse trattare di un gruppo familiare esteso. Le indagini proseguiranno per dare risposte ai tanti quesiti ancora senza soluzione”.

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