Il silenzio è finito dopo quasi due mesi: alle 23 di venerdì 11 febbraio si son riaccese le luci nelle discoteche, comprese quelle di Cagliari. Piste da ballo che pian piano si son riempite, emozione per il ritorno nei luoghi del divertimento, operatori, dj, buttafuori e personale in gran fermento.
Le prime code all’ingresso avevano i volti di molti giovanissimi, camicia perfetta, capelli tirati, la generazione che sofferto più di ogni altra le restrizioni anti-contagio, la socialità negata, la mancanza di contatti diretti, l’età che si è riversata nelle piazze dei centri cittadini cercando spazio e divertimento.
Fila, ingresso riservato per i tavoli, il green pass sul display dello smartphone, la fila al guardaroba e al bar dove la mescita riprendeva. Riti che sembravano perduti. E poi in pista non appena i dj hanno alzato i volumi dei mixer sui primi pezzi riempipista. Si sorride e si balla per esorcizzare lo spettro dei mesi prima.
Questa ripartenza è apparsa un nuovo inizio, dopo mesi di riaperture a singhiozzo, da quel maledetto 21 febbraio 2020 che ha sconvolto il mondo. Le crepe sono tante, e non solo economiche per gli operatori, ma anche e soprattutto per la generazione di chi usufruisce del divertimento notturno. In primis per la mancata socializzazione.
“La chiusura delle discoteche – commenta la psicologa e psicoterapeuta Annalisa Mascia – è stata necessaria in tempi di emergenza sanitaria ma andrei cauta sull’etichettarle come luogo da evitare, come si è sentito spesso. Dietro la musica e i locali c’è tanto altro che va a strutturare la personalità dei giovani: lo sfogo settimanale in un ambiente strutturato che non è strada, la socialità tra gruppo dei pari, il desiderio di conoscenze intime, il senso di indipendenza e autonomia dal mondo degli adulti, il poter mostrare se stessi all’altro senza distinzioni sociali, sono tutti elementi evidenziabili in una serata trascorsa con amici in discoteca”.
“Chi di noi non ricorda – domanda la psicologa – un bel momento della propria vita quando sente una canzone alla radio che ballava da giovane? È evidente che la musica vada a colpire anche la memoria personale dei ricordi piacevoli della gioventù. Mi preoccuperei meno di evidenziare luoghi da curare, piuttosto mi concentrerei su programmi di educazione rivolti ai giovani che, a prescindere dall’ambiente che frequentano, possano comportarsi con etica, rispetto e dignità”.
Discoteche ma non solo. E l’età più colpita è sempre quella, la più fragile: “La pandemia ha creato un disagio esistenziale che sta venendo a galla solo ora. Sempre più genitori, infatti, contattano professionisti in cerca di un aiuto perché vedono i figli adolescenti e giovani-adulti sempre più isolati con relazioni virtuali che non si trasformano in nulla di più se non in profonde delusioni. È il momento – propone Annalisa Mascia – di dare indicazioni precise e concrete perché la comunicazione confusa genera altra confusione, aggressività e profondo malessere soprattutto nei più giovani che vivono la fase della vita in cui stanno sviluppando il pensiero critico”.
Non è solo malamovida. Come in ogni contesto sociale anche la disco è aggregazione e conoscenza, con tutti i suoi limiti e le sue parti oscure. E anche la disco è mancata in questi mesi difficili di distanziamenti e stress. Meno criminalizzazione e più conoscenza e ascolto, forse, permetterebbe di superare tanti pregiudizi.
Nicola Montisci
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