Si è costituito dopo qualche ora, probabilmente perché ha capito che sarebbe stato individuato senza particolari problemi, l’investitore 35enne che ha ucciso un bimbo di poco più di un anno in via Cadello e trascinando per venti metri quella carrozzina ha distrutto per sempre una mamma e un papà. Forse continuando a guidare la sua coscienza ha iniziato a fare male. O magari ha iniziato a chiedersi perché quella tragedia è capitata proprio a lui, visto che a Cagliari, in via Cadello, tutti corrono come pazzi scatenati. Nonostante i dissuasori di velocità.
Sì perché quella capitata ieri in via Cadello è l’ennesima tragedia annunciata che sarebbe potuta capitare a tanti automobilisti e motociclisti cagliaritani. Su quello scooterone ci sarebbe potuto essere qualsiasi cagliaritano che usualmente e quotidianamente prende le strade cittadine come un circuito automobilistico. Quello che ha fretta di arrivare al lavoro, in palestra, dalla fidanzata. Quello nervoso, stressato. Quello arrogante, che pensa che la strada sia soltanto sua.
A Cagliari il numero degli investimenti pedonali è tra i più alti d’Italia. Nelle consuete stime di fine anno, la sezione Infortunistica stradale della Polizia locale di Cagliari ha indicato le strade più a rischio di Cagliari. Stranamente non compare via Cadello, ma la prima per investimento di pedoni è la vicinissima via Is Mirrionis. Seguono via Roma e viale Poetto. In tutta l’isola gli infortuni stradali sono aumentati a dismisura rispetto all’anno precedente, quando si erano registrati 17 incidenti mortali con 19 vittime e 319 incidenti con lesioni con 448 persone ferite. Nel corso del 2021 sono stati rilevati 15 incidenti mortali con 16 vittime, e 367 incidenti con lesioni con 489 persone ferite.
Più che una questione di ordine pubblico, però, quella che dopo questa tragedia si dovrà iniziare a considerare è una questione culturale. Non serve a nulla predisporre più controlli e comminare più multe se non cambia la testa delle persone. Se non si capisce che non siamo soli sulla strada. Ma sulla strada ci sono pedoni, ciclisti e altri automobilisti di cui abbiamo il dovere di tutelare l’incolumità. La morte del piccolo Daniele è frutto di un senso della collettività e dell’attenzione all’altro che si sta gradualmente spegnendo. Di un modello culturale che oggi vede il più forte, quello con la macchina più potente, prevalere con arroganza e presunzione sul più debole. Anche su un bambino indifeso che la mamma sta accompagnando in carrozzina al parco di Monte Claro.
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