L’intervento di Francesco Casula
Due meritevoli archeologi, Giovanni Ugas e Nicola Dessì, scoprono e riportano alla luce un grandioso nuraghe quadrilobato nel Parco di Monte Urpinu a Cagliari: con lo stesso disegno planimetrico – ha sostenuto Ugas – di su Nuraxi di Barumini, ma più grande.
E’ un colpo mortale alla feniciomania che, graniticamente continua a regnare, soprattutto nei libri, in cui si può continuare a leggere che sono stati i Fenici a “fondare” Karalis come Nora, Bithia come Sulkis e Neapolis,, Tharros come Othoca, Cornus, e persino Bosa.
Con la scoperta del compendio nuragico di Monte Urpinu, la capitale sarda entra, a buona ragione, nella rete dei nuraghi sardi e, dunque in quella civiltà e società nuragica di una Sardegna “prospera e felice” (Diodoro Siculo).
Quella Sardegna, (per Omero la Scherìa, la terra dei Feaci, abitanti di un’Isola su tutte felice), posta a Occidente nel mezzo del Mediterraneo, aperta al mondo, che combatte, alleata con i Popoli del mare contro i potenti eserciti dei Faraoni e dei re di Atti che tiranneggiano e opprimono i popoli.
Quella Sardegna che i media italici continuano a “negare”: la Biblioteca del Quotidiano Repubblica, nel 2005 ha pubblicato e diffuso a migliaia di copie un volume di 800 pagine sulla preistoria, nel quale nuraghi e Sardegna non vengono citati, neppure per errore.
Un’occasione mancata per la cultura italiana che pur pretende – e con quale spocchia – di dominare sull’Isola. Se il Quotidiano “La Repubblica” ha compiuto un semplice peccato di omissione, qualcuno ha fatto di peggio: certo Gustavo Jourdan, uomo d‘affari francese, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno in Sardegna, a coltivare gli asfodeli per ottenerne alcool, in Ile de Sardaigne (1861) parla della Sardegna “rimasta ribelle alla legge del progresso”, “terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi”.
Mentre l’inglese Donald Harden, archeologo, filologo e storiografo di fama, dopo aver visitato molte contrade della Sardegna, agli inizi del Novecento, tra gli anni ’20 e ‘30, espresse giudizi poco lusinghieri sulla tradizionale cultura del popolo sardo che lo aveva ospitato e in una sua opera “The Fhoenician” parlerà della Sardegna come “regione sempre retrograda”.
Ma tant’è: accecati dall’eurocentrismo, evidentemente costoro dimenticano che quella nuragica è stata la più grande civiltà della storia di tutto il mediterraneo centro-occidentale del secondo millennio avanti Cristo. Con migliaia di nuraghi (8.000 secondo le fonti ufficiali: l’Istituto geografico militare, che però li censisce secondo modalità militari e non archeologiche; 20.000 secondo Sergio Salvi e 25–30.000 secondo altre fonti non ufficiali) costruzioni megalitiche tronco-coniche dalle volte ogivali con scale elicoidali; pozzi sacri, betili mammellari, terrazze pensili, androni ad arco acuto, innumerevoli dolmen e menhir, migliaia di statuette e di navicelle di bronzo.
C’è ora da augurarsi che il grandioso edificio di Monte Urpino venga “recuperato” totalmente, tutelato e valorizzato, E che la ricerca scientifica vada avanti per fare piena luce sulla storia di Cagliari e della Sardegna intera. Per riscriverla, la nostra storia: fin’ora manomessa e mistificata.
Ma per favore non chiamiamola “reggia”: la Sardegna nuragica era acefala, senza re né tiranni. Era una Sardegna popolata da migliaia di comunità, libere e indipendenti.
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