Inutile girarci attorno. I paesi della Sardegna sono morti. Trecentosettantasette Comuni, suddivisi in cinque Province, una popolosità media di 4.385 abitanti che vuol dire, scorporati i numeri dei pochi centri cittadini, uno stillicidio di anime riversato su un territorio ormai spoglio, gerbido: nudo.
Nei paesi della Sardegna ogni diritto costituzionale è un lusso. Il lavoro non esiste. I giovani non nascono, e se nascono non studiano, e se lo fanno se ne vanno. La scuola chiude i battenti. Gli uffici postali e bancari pure. Internet funziona lentamente e a fasi alterne, e se nevica un po’, e un topo mangia il filo, si resta – letteralmente e metaforicamente – al buio. Non esiste una politica di rilancio dei territori, una strategia e una volontà. Cagliari si dimentica le radici. Le altre città fanno orecchie da mercante.
Persi nei piccoli rivoli del campanile, gli amministratori locali sono spesso in guerra tra loro, in un’assurda contesa tra poveri: anziché unire le forze le disperdono. Negli uffici comunali latitano le figure tecniche e i professionisti, ed è già un miracolo portare avanti l’ordinaria amministrazione – quella che un’amica chiama la politica “de su buccu”: si rattoppa una strada e si tira a campare. Resta una popolazione anziana che vive aggrappandosi ai ricordi di un glorioso (o forse solo romanzato dalle curve della memoria) passato e la volontà di qualcuno che ancora resiste. Ma non basta.
L’Isola sembra abbandonata da tutti. Il futuro ha smesso di essere immaginato, e dunque non esiste. Anche “l’’attuale Governo deve avere qualche problema irrisolto con la Sardegna” scrive il presidente Anci Sardegna Emiliano Deiana nella sua pagina Facebook. “Mi informano autorevoli e incrociate fonti che il Governo non ha accolto nessuno degli emendamenti tesi ad estendere ai sindaci sardi le previsioni degli adeguamenti delle indennità ferme al Dlgs 267/2000 e sue ssmmii e previste per i sindaci delle regioni a statuto ordinario. Sembra che i sindaci e gli amministratori sardi – nella visione del Governo – siano figli di un Dio minore. Mi corre l’obbligo di ringraziare la stragrande maggioranza dei parlamentari sardi (e non) che hanno sostenuto del ragioni della nostra richiesta: Marilotti, Fenu, Cucca, Doria, Floris, Mura, Cappellacci, Manca – sperando di non dimenticare nessuno – e la senatrice De Petris che ha presentato, forse, la formulazione più completa e avanzata. Poi, ad ogni alluvione e/o disgrazia, arriva il Ministro di turno in parata per parlare dell’eroismo dei sindaci; della “trincea” dei sindaci. Alla prova dei fatti di quei sindaci, della circostanza che abbiano un’indennità dignitosa non gliene frega nulla: sono parole vuote per le cerimonie ufficiali. Oggi ho sentito parlare di “civil servant”; di candidati alla presidenza di non so che cosa. Gli unici civil servant che conosco sono i sindaci e le sindache con cui ho a che fare tutti i giorni, in una Sardegna a cui da Roma guardano ancora come la periferia dell’impero, il luogo dove bagnarsi le chiappe ad agosto”.
Dimenticati, abbandonati, perfino scherniti con compensi da fame: gli amministratori locali vivono in trincea senz’armi e senza scarpe. Chissà quando, come i soldati guidati dal Generale Leone, si accorgeranno di essere inermi sull’Altipiano. E metteranno in pratica politiche di difesa: un Partito dei Sindaci, penso, ancora una volta, sarebbe l’unica svolta possibile.
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