Detenuto in Sardegna dal 2018, dopo essere stato estradato dalla Spagna in Italia nel 2015, attualmente nella casa circondariale di Cagliari, un cittadino nigeriano chiede insistentemente al Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria, senza avere risposta, il trasferimento nella Penisola. L’uomo, S. C., 43 anni, sposato e padre di 2 bambine di 6 e 11 anni, si trova in isolamento volontario perché ritiene la sua vita in pericolo. Effettua colloqui in videochiamata perché la moglie e le figlie vivono in Nigeria.
“La mia situazione – ha detto ai volontari dell’associazione Socialismo Diritti Riforme – è divenuta insostenibile e non riesco più a gestire il mio stato d’ansia. Sono arrivato in Sardegna, da Napoli, su mia richiesta perché avevo appreso che qui sarei potuto andare in una colonia penale dove avrei lavorato e aiutato i miei familiari rimasti in Nigeria. In realtà niente di ciò che mi aspettavo è risultato veritiero. Nel 2018 sono stato trasferito nel carcere di Alghero, dove però non potevo lavorare. Successivamente nel 2019-2020 sono arrivato a Oristano, dove ho subito un’aggressione, quindi a Nuoro e adesso mi trovo nella casa circondariale di Cagliari-Uta. La Sardegna per me è diventata un incubo. Faccio continue domande per essere trasferito ma non ottengo alcuna risposta. Sono in isolamento dal 5 ottobre scorso, una condizione che mi pesa moltissimo perché non posso incontrare nessuno, ma mi sento in pericolo di vita e ho paura”.
“La vicenda di S. C. – osserva Maria Grazia Caligaris, esponente di SDR – ripropone in termini oggettivi la questione della finalità della pena detentiva. Il detenuto è sicuramente un cittadino problematico, ma non è aggressivo verso le persone. La sua richiesta di trasferimento, seppure motivata in modo singolare, non appare insensata. Una persona che non riesce a trovare una motivazione a permanere in un Istituto Penitenziario e, nella fattispecie, in un carcere dell’isola, vanifica il ruolo della Istituzione. Ovviamente si tratta di un caso molto particolare ma appare singolare che un isolamento protratto per così tanto tempo, benché voluto, contrasti con le finalità della pena sancite dall’ordinamento penitenziario e dalla Costituzione. Non può infatti essere garantito il suo recupero sociale”.
“Il nostro appello al Dipartimento – sottolinea Caligaris – vuole rappresentare una condizione umana preoccupante per i risvolti che può assumere. S.C. nella sua caparbia determinazione manifesta una grande fragilità, accentuata anche dalla difficoltà di gestire la lingua italiana e di comprendere i modi e i tempi dell’iter burocratico relativo alle istanze. È certo però che una richiesta di trasferimento avanzata al DAP a luglio potrebbe avere una qualche risposta. Il detenuto non sta chiedendo la libertà ma di essere trasferito fuori da un’isola che ritiene ormai incompatibile per episodi reali o sentiti come tali di intolleranza nei suoi riguardi. Accordare un atto di umanità da parte del Dipartimento – conclude l’esponente di SDR – può dare luogo a una svolta nella vita di una persona che potrebbe davvero affrontare il suo percorso riabilitativo nel pieno rispetto della finalità della pena”.
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