Son passati cent’anni dalla nascita del Partito sardo d’azione. Era il 1921 e Davide Cova, Camillo Bellieni, Emilio Lussu e altri ex combattenti della Prima Guerra Mondiale, provenienti principalmente dalla Brigata Sassari, fondavano un nuovo gruppo politico, che avesse a cuore gli interessi della Sardegna. Proprio in quell’anno a Tortolì, in provincia di Nuoro, nasceva Mario Melis, di cui si è ricordato ampiamente nella serata di ieri alla Fondazione Sardegna, dov’è stato proiettato in anteprima nazionale il documentario “Mario Melis, il presidente dei sardi” di Anthony Muroni, tratto dall’ominimo libro pubblicato da Arkadia e firmato dallo stesso giornalista.
Fin da giovanissimo, sulle orme del fratello Giovanni Battista, detto “Titino”, Mario Melis militò nel partito sardista. La politica diventò ben presto la sua ragione di vita, come raccontato nella pellicola dai figli Michela, Antonio e Laura. Divenne sindaco di Oliena nel 1956, poi consigliere e assessore regionale e successivamente assunse per due mandati consecutivi (1982-1989) la carica di Presidente della Regione Sardegna, la più importante per lui che si definiva “il presidente sardista dei sardi”.
Oggi il Partito sardo d’azione è tornato alla guida della Regione con Christian Solinas, seppur con accordi politici spesso duramente criticati dagli stessi sardisti. D’altra parte, questa “rinascita” politica può significare che il sardismo non è morto e sepolto, e in qualche modo ciò è stato possibile anche grazie al visionario progetto politico di Mario Melis.
“Una delle visioni di Melis, che è il ‘sardismo diffuso’, si è concretizzata e non ce ne siamo accorti”, racconta il giornalista Anthony Muroni. “Il sardismo diffuso cos’è? È la percentuale di attenzione alla Sardegna che ogni persona che si occupa di politica in Sardegna ha, mi spiego meglio: negli anni Ottanta il Partito sardo d’azione era l’unico a portare l’istanza sardista in Consiglio regionale, gli altri partiti guardavano esclusivamente a Roma. Oggi – prosegue Muroni – il PD, Fratelli d’Italia, tutti i partiti che sono nati hanno sempre un pizzico di richiamo agli interessi della Sardegna, alla sua identità, alla sua lingua, alla difesa delle coste. Alla fine la grande conquista di Melis è quella di aver portato queste istanze all’interno degli altri partiti”.
Un lascito che è arrivato fino a noi, e che semplicemente per questo è degno di nota. Detto questo, oggi il sardismo non è considerato come una soluzione politica possibile dalla gran parte dei giovani sardi, che lasciano l’Isola in numeri sempre maggiori, perché non si sentono rappresentati, né benvoluti, e preferiscono oltrepassare il confine, prima regionale poi nazionale, per raggiungere l’estero. Le nuove generazioni sono nate nel bel mezzo della Globalizzazione e sarebbe impensabile oggi ragionare in un’ottica diversa da quella europea. “È vero, l’istanza sardista indipendentista vecchio stampo è praticamente defunta – commenta Muroni -, non funziona, non ha una risposta, soprattutto da parte dei giovani che si sentono cittadini del mondo. Ma se vogliamo andare ad analizzare, il discorso di Melis riguardava proprio i sardi cittadini del mondo. Lui voleva una Sardegna non isolata, ma una Sardegna federata col resto d’Europa e aperta sui quattro punti cardinali e quindi che dialogasse con il Nord Africa, con la Spagna, i Paesi all’Est e col Nord. Da questo punto di vista il suo era un messaggio modernissimo che oggi si è un po’ perso per strada forse perché chi ha preso l’eredità di Melis non ha saputo declinarla in una maniera moderna”.
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