Cinquanta anni fa, il 14 luglio 1971, moriva improvvisamente un gigante del pensiero indipendentista: Antoni Simon Mossa. Architetto, intellettuale raffinato, Simon Mossa nacque a Padova nel 1916, ma le sue origini erano algheresi. Mossa, che parlava fluentemente spagnolo, catalano, inglese, tedesco, italiano, ovviamente il sardo, e studiava russo, greco e arabo, è stato ideologo e esponente di prima linea del Partito Sardo d’Azione e uno dei padri della dottrina dell’Indipendentismo sardo.
Ai suoi occhi la Sardegna era diventata una colonia nelle mani di uno Stato Italiano tra i più centralisti d’Europa, che soffocava ogni idea di sviluppo sociale, economico o sociale. “L’Indipendenza della Comunità Sarda è indispensabile per la riforma radicale della struttura sociale e la possibilità di una reale crescita economica del popolo sardo”, scriveva.
La sua lezione è contenuta in queste parole: “Molti ce lo chiedono, perché siamo sardisti, perché persistiamo ad esserlo, soprattutto dopo che la nostra meta – la concessione dell’autonomia – è stata raggiunta. Molti ce lo dicono, ce lo ripetono fino alla nausea. “Voi”, dicono, “siete niente, non rappresentate niente, non significate niente. Voi siete morti dietro quattro mori bendati. Perché non venite con noi? Noi abbiamo idee, abbiamo mezzi, abbiamo programmi, entrature e amicizie. Noi ‘possiamo’, noi ‘facciamo’ venite con noi; vi accogliamo a braccia aperte!” Davvero noi non siamo niente, non rappresentiamo niente, non significhiamo niente? Che cosa vuol dire niente?
Niente vuol dire quel povero senatore o quel povero deputato (i nomi si possono scegliere a caso, i quali si agitano in frenetiche convulsioni nella grande camera della morte, come tonni che stanno per essere arpionati e si immergono agitando la coda nel sangue fresco del massacro giornaliero, proprio come alla tonnara). Niente per noi significa colui che riceve prebende e doni, si ammanta di piume variopinte e di medaglie, che serve fedelmente i padroni di oggi, dimenticando e tradendo questa povera terra derelitta.
Noi non siamo niente. E se non siamo niente perché ci offendete prima e ci lusingate dopo? Perché ci invitate al banchetto nuziale? Che figura possiamo fare con le nostre vesti lacere e la fame millenaria alla vostra mensa imbandita? Noi non siamo niente e siamo morti. Ma per voi è una sola la frase che vi definisce: sarebbe meglio per voi se non foste mai nati! Voi blaterate dalla mattina alla sera di libertà, di pane, di progresso, di riscossa.
Voi avete bisogno dell’ossigeno per non morire soffocati. Noi no, che siamo morti. Voi siete come i cani, che vi gettate sulle nostre spoglie, famelici e arrabbiati. Voi siete i figli di Satana che non vedono la luce. Voi siete i nostri carnefici e non siete mai sazi del nostro sangue. Noi siamo morti. Ma il nostro spirito e vivo. Noi risorgeremo dalle ceneri. Ma voi non conoscerete il nostro giorno. Noi aspireremo i soavi odori del vostro rogo acceso sulle alture dell’imbecillità e del servaggio. Ma noi non ci pieghiamo alla vostra falsa forza; né cadiamo di fronte all’impeto incontrollato della vostra forza, né cadiamo di fronte all’impeto incontrollato della vostra muta ululante.
Noi siamo la Sardegna, voi siete i Kapò dei dominatori. Noi siamo liberi e conosciamo la Libertà e sappiamo quale sacrificio costi quella libertà che vogliamo sia patrimonio sacro dei sardi. Noi abbiamo le nostre frontiere morali. Voi No. Voi avete le frontiere ideologiche tracciate dai vostri padroni. Noi crediamo nella comunità dei popoli, perché noi siamo un popolo, e abbiamo diritto di farne parte. Voi No. Perché siete un gregge racchiuso fra staccionate opache. Noi siamo gli orizzonti, e sentiamo che oltre gli orizzonti una umanità come la nostra vive e anela la stessa nostra libertà.
Voi siete accecati dalla vostra stessa immensa presunzione di eterni servi. Voi di destra e di sinistra che ci lusingate, ci offendete e ci volete distruggere. Noi siamo morti: perché siamo poveri. Ma noi siamo sardisti e siamo gli unici difensori di questo popolo ridotto a un duro servaggio coloniale. Si, noi siamo morti. Ma voi siete oltre la vita e la morte, nelle putride lande del vostro Shéol. E vi rimarrete fino a che sarà scomparso anche il ricordo di una razza di servi.”
Antonio Simon Mossa
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