Niente telefonini in classe, nemmeno durante l’intervallo. È quel che ha deciso il governo britannico per il nuovo anno scolastico. I dispositivi elettronici “distraggono” gli alunni e costituiscono un danno per la loro salute mentale. Le disposizioni presentate dal Ministro dell’Istruzione inglese Gavin Williamson, si poggiano su studi e ricerche di settore, che confermano un miglioramento dei risultati scolastici quando i telefonini sono vietati. Soprattutto, per gli alunni con maggiori difficoltà di apprendimento. In sintesi, secondo le analisi, vietare i telefonini equivale ad aggiungere cinque giorni supplementari all’anno scolastico.

Tesi che si sposa perfettamente con quanto affermato da uno dei massimi filosofi in Italia, Umberto Galimberti, che si è occupato a lungo del tema. “Esorterei i professori a usare meno il computer”, ha dichiarato più volte il celebre filosofo. “Ai ragazzi internet fornisce, dopo anni di guerra al nozionismo, un’infinità di informazioni slegate tra loro, ma non regala senso critico, connessione dei dati e, quindi, conoscenza. I maestri hanno il compito di sviluppare il senso critico e mettere in connessione i dati”.

D’altra parte, c’è chi sostiene che il bando totale dei telefonini potrebbe causare dei problemi ai genitori: come contattare i figli quando escono da scuola? Non sarebbe meglio custodirli da qualche parte e riconsegnarli all’uscita? Anche i docenti si son detti scettici a riguardo, in quanto le scuole adottano già delle misure sull’utilizzo dei telefonini a scuola: in alcuni casi, si possono utilizzare per fare ricerche online o consultare il materiale didattico messo a disposizione dagli istituti. Gli stessi docenti, poi, sfruttano sempre più spesso le piattaforme online per svolgere esercizi in classe, realizzare verifiche di apprendimento e visionare documentari e filmati per rendere maggiormente fruibile i programmi scolastici.

“Parliamo di ragazzi che hanno vissuto gli ultimi due anni online. È un’altra generazione rispetto a quella degli adulti. Bisogna tenerlo in considerazione: la tecnologia ha permesso ai più giovani di mantenere i legami sociali anche al di fuori della scuola”, sostiene Ilaria Gaspari, 34 anni, considerata l’astro nascente della Filosofia in Italia. Con una tesi di laurea specialistica sulla forza dell’immaginazione in Spinoza, ha conseguito successivamente un dottorato alla Sorbonne di Parigi, oggi insegna Scrittura alla Holden di Torino.

“Una cosa che noto nelle scuole – prosegue la filosofa – è che siamo talmente saturati dalla tecnologia che ora c’è una reazione naturale al voler tornare agli incontri di persona. Certo avere un rapporto virtuale impigrisce un po’, penso ad esempio al fenomeno del ‘ghosting’ che permette di interrompere una relazione da un momento all’altro, scomparire senza lasciare tracce. È la via più facile e più attraente che però non risolve il problema”.

La soluzione, come accade nella maggior parte delle situazioni più controverse, sta nel mezzo. “Bisogna cercare un equilibrio e mediare fra le due possibilità, il digitale non va vissuto come un surrogato della vita vera. Il problema non è tanto quello della sovrapposizione tra le due vite, ma il fatto che stare connessi a scuola induce a uno spezzettamento dell’attenzione e una diminuzione dello stupore e dell’interesse”. Tutto confermato dalle statistiche recenti, che attestano la nostra capacità di concentrazione a otto secondi, inferiore persino a quella di un pesce rosso.

“Il digitale – prosegue Gaspari – ti fa perdere quell’esperienza, Erlebnis nella filosofia tedesca, l’aver vissuto qualcosa che in qualche modo ti cambia. Ci dev’essere uno spazio per il vivere delle cose, un minimo di fatica e di sforzo che inducono a un cambiamento”. Ridurre la fatica, sostiene la filosofa, significa rendersi passivi di fronte a ciò che ci scorre attorno. “Anche imparare le cose a memoria, non tutto, ma qualcosa, aiuta a mettere delle radici nel nostro sistema, che diventano un serbatoio creativo che si può utilizzare. Si ha un’autonomia diversa, che dipende da noi stessi e non da uno strumento, come può essere una calcolatrice. Oggi il telefono ha tutte le funzioni, quindi diventa molto più comodo. Diventa un automatismo”.

Ma c’è anche un altro aspetto che spesso si tende a sottovalutare, a voler riempire a tutti costi, e che invece andrebbe semplicemente lasciato esprimersi: è la noia. “Sono d’accordo con Galimberti – spiega la filosofa – sul fatto che un rapporto con la noia andrebbe modulata, penso ad esempio ai bambini che stanno per molto tempo al telefono così i genitori li tengono impegnati. Pensando alle potenzialità di curiosità e di meraviglia del mondo, tamponare il momento morto con il cellulare è sbagliato perché toglie ai bambini il tempo del gioco, e di noia, che ti spinge a cercare qualcosa da fare, a inventare, a creare qualcosa di nuovo”.

Leggi le altre notizie su www.cagliaripad.it