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La cantautrice Claudia Aru interviente nel dibattito sul futuro dei paesi e sul ruolo degli intellettuali. “I sardi non possono nascere (e morire) in macchina, diamo all’interno i giusti servizi. A partire dalla scuola”.

Claudia Aru est una cantadora sarda. A pustis de sa laurea in s’Universidade de Bologna in storia de s’Arte, a biviu in Barcellona, in New York e in Roma, prima e torrare in Saldigna.

Claudia Aru, mi racconta qualcosa di lei?

Sono nata nell’ospedale di San Gavino Monreale come tutti i bambini del Medio Campidano, sono cresciuta a Villacidro dove ho frequentato il liceo classico che è stato una palestra durissima che mi ha preparato veramente all’Università, infatti l’ho fatta quasi senza accorgermene tanto ho studiato in quella fase.

Mi sono laureata al DAMS di Bologna, indirizzo Storia dell’arte, che era e rimane una mia grandissima passione, ho fatto un master in marketing e management dello spettacolo a “La Sapienza” di Roma e poi ho fatto il “conservatorio tardivo” a Cagliari, così lo chiamo io, ho realizzato il grande sogno di laurearmi in jazz ma mi sono iscritta a 34 anni mentre vivevo un periodo molto difficile, posso dire che è stato una terapia, mi sono curata con la musica, come, effettivamente, ho sempre fatto.

Nel frattempo ho viaggiato moltissimo, ho frequentato l’università a Barcellona per un anno che ha lasciato un segno profondissimo sulla mia formazione, tanto che ci sono tornata altri due anni, poi ho vissuto un anno a New York e ho fatto qualche giro negli Stati Uniti per poi capire, proprio laggiù, che la mia casa era la Sardegna. Sono tornata, infatti, con moltissmo entusiamo e, nonostante le difficoltà, oggi posso dire di essere esattamente dove voglio essere e di fare precisamente ciò che sognavo di fare.

Sono una cantautrice e una insegnante di canto moderno, disciplina che ho studiato duramente con molti maestri, anche se i miei riferimenti principali restano l’americana Cheryl Porter e l’indiana Varijashree Venugopal, che nascono insegnanti ma diventano  amiche… sorelle… elementi fondamentali della mia “famiglia”; io sono anche il mio manager, il mio produttore, il mio agente, il mio esperto di social media, il mio consulente d’immagine, il mio ufficio stampa e pure il mio autista, (visto che guido sempre e solo io) anche se sto selezionando figure che possano aiutarmi.

Mi piace sapere dove ho le mie radici ma ho una reale necessità di far arrivare le mie fronde il più lontano possibile, amo stare a casa ma il viaggio è un elemento fondamentale per darmi equilibrio. Grazie anche al mio lavoro, ho visitato 29 Stati nel mondo ma me ne mancano ancora tanti e riprendere a viaggiare sul serio sarà la prima cosa che farò appena sarà di nuovo possibile, mi manca molto. Parlo spagnolo e inglese, meno bene il catalano e continuo a perfezionare il sardo che ho imparato da grande e che è stato uno degli elementi di maggior apertura per la mia carriera, sembra strano ma è così, se avessi scritto e cantato in italiano o in inglese, la mia storia sarebbe stata completamente diversa e, potessi tornare indietro, rifarei la medesima scelta. Amo cucinare, sono una curiosa patologica, non mi piacciono le serie televisive ma adoro la politica che seguo con passione anche se sono di quelle che non vincono mai, mi piace lo sport, non mi piacciono i dolci e guardo “Chi l’ha visto”, lo so, sembra il profilo di una folle e forse, un pò, lo sono,  ma io ambisco alla follia in senso nicciano.

Se esiste, che ruolo ha l’intellettuale in Sardegna?

L’intellettuale in Sardegna come ovunque, ha il ruolo di accendere luci laddove vi è buio, questo genera scopiglio inizialmente ma porta le persone che prima non vedevano, ad avere più consapevolezza, ad avere più informazioni, a porsi più domande. A parer mio un intellettuale per definirsi davvero tale, non deve avere vincoli di tipo politico o committenti, deve essere libero di poter dire sempre ciò che crede, infatti per sua natura è un antagonista che opera secondo il principio del falsificazionismo di Popper, non parte da certezze ma da dubbi, in Sardegna qualcuno c’è, ma la verità è che troppa stampa è avviluppata in dinamiche politiche che la imbavagliano, in troppi hanno legami con questo o quello e quindi si espongono poco, ripeto, qualcuno c’è, senza fare elenchi, io so chi leggere quando voglio avere pareri reali privi di strategie secondarie e, fortunamente, so dove trovarli.

Qual è secondo lei il futuro dei paesi?

Grazie al mio lavoro e al mio passato in politica, ho legami con moltissimi paesi della Sardegna, non dico tutti per non sembrare arrogante, ma poco ci manca, per questo conosco abbastanza bene i pregi e i difetti delle nostre piccole comunita; lo spopolamento è un fatto oggettivo che ci deve porre delle domande, non basta piangere guardando i numeri in costante ribasso, bisogna anche chiedersi perchè le persone vanno via, sarà forse perchè in molti casi si vive male? Si, secondo me è così e sfido anche il più temerario a crescere un bambino ( che poi diventerà adolescente) obbligandolo al pullman già alle elementari, facendo lezione in multiclassi e dove l’attrazione principale è un bar. E’ anche vero che ci sono paesi in forte crescita: Uta, Sestu e San Sperate, per fare degli esempi, e crescono perchè sono vicini ai servizi, dalle principali arterie per lo spostamento, a ospedali, scuole e vita sociale. Ricordo perfettamente quando un’amica di Tertenia mi disse che la metà dei bambini del suo territorio tra strade impervie, lavori senza fine e problemi vari, nascevano spesso in macchina, sembra una sciocchezza ma è indicativo di come vadano le cose in certe aree della Sardegna. E’ una realtà irreversibile? No, secondo me no, ma è necessaria una presa di coscienza concreta dei bisogni di questi luoghi, servono politiche coraggiose a lungo termine ma purtoppo, la nostra è una politica “last minute”, che ragiona solo in vista della successiva campagna elettorale, serve consenso immediato, non si ha il coraggio di fare scelte impopolari. In più il ruolo dell’opposizione, quasi a tutti i livelli, è praticamente inesistente, quindi si galleggia fino a fine legislatura per non perdere i privilegi e si rimane così, mantenendo lo status quo.  Ecco, io credo se si voglia crescere, serva questo: coraggio e visione a lungo termine, progettazione. Ma sono cose molto faticose, me ne rendo conto.

Da dove ripartire, allora?

La Sardegna deve ripartire dalla scuola, i dati 2019-2020 ci informano che il 23% dei ragazzi sardi di età compresa tra 18 e 24 anni, ha soltano la terza media.  La Sardegna è lontana 9 punti e mezzo dalla media italiana, che è di circa il 14,5%. Questo deve farci riflettere… chi saranno i sardi di domani? Che visione del mondo avranno? Io me lo chiedo e non nascondo una certa preoccupazione, perchè poi questo dato si trascina una marea di altre questioni. In questo la politica ha un ruolo fondamentale, ma deve anche mettere in condizione chi si è formato ed è capace, di tornare a seminare bellezza e sapere, un pò come il fu “master &back” , che era nato benissimo ma finì sfilacciandosi perchè si scontrò con chi non aveva nessuna intenzione di mettere a frutto le maestranze specializzate infrangendo i sogni di tanti ragazzi, ah, lo dico perchè io sono una di quelli, ma questa è un’altra storia. La scuola, quindi, che comprende maggiore coscienza, maggiori prospettive, maggiori strumenti intellettuali, maggiore senso civico, più curiosità, più voglia di costruire, più sogni, più futuro e , lasciamelo dire, una classe politica più preparata; troppe cariche cardine vengono date a persone che non ne capiscono nulla e questo fa danni macroscopici, dai comuni alla Regione. Un popolo ignorante è facilmente ingannabile, lo hanno detto tanti illustri personaggi prima di me e io sono totalmente d’accordo.

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