Sono passati tre anni da quel 6 settembre 2018, quando abbiamo perso un grande collega e amico. Marco Mostallino, Mostalla, per intenderci, era un punto di riferimento per tutti noi giornalisti cagliaritani che abbiamo avuto la fortuna di vivere la professione all’interno di una redazione. Dentro quel luogo dove, nella più rosea delle ipotesi, si confrontano idee e visioni. Dove, nei casi meno rosei, esplodono scazzi e polemiche.

Quando si trattava di capire se una notizia o una foto andassero pubblicate Marco c’era. Ma c’era anche quando bisognava prendere le difese di un collega più debole.

Marco Mostallino, con quel suo sguardo un po’ accigliato, ha saputo dire spesso di no. Ha detto di no all’Unione Sarda dopo essere entrato in rotta di collisione con il nuovo proprietario Sergio Zuncheddu. Ha fatto una battaglia – quasi solitaria – con gli editori che, tagliando le gambe a 130 dipendenti, hanno affossato Epolis con una bancarotta fraudolenta di cui ancora si sente il tanfo. Infine ha detto no anche allo stesso giornalismo, che per lui, abituato alle inchieste scomode, era diventato troppo molliccio (chissà cosa direbbe ora).  Aveva scelto la fotografia, forse perché si era annoiato di troppe parole vuote.

Cattolico, di scuola gesuita, amava parlare di quella fede, tanto studiata e tanto messa in discussione dalla sua vivace voglia di capire.

“Ci mancherà la sua ironia tagliente, il suo sarcasmo verso i tanti chierichetti del potere annidati nella politica e nel giornalismo”, scriveva tre anni fa Giancarlo Ghirra, suo collega all’Unione, ricordandolo su Faceboock.

Anche io non voglio ricordare, in questa sede, le centinaia di consigli elargiti con generosità ai colleghi. Non voglio ricordare le sue inchieste giornalistiche, né le sue battaglie. E neppure le sue mostre fotografiche, frutto della sua passione per le immagini. Vorrei solo ricordarlo mentre ride. Di gusto.

Era l’ora di pranzo. La redazione di Epolis era semivuota. Era settembre, anche quella volta. Forse era il 2007. E tutti ancora eravamo molto fiduciosi e immersi in quella strana creatura editoriale nata dall’estro geniale di Niki Grauso. Tutti erano in pausa pranzo. Non so perché, salutandolo, mi avvicinai alla postazione dove stava ancora lavorando e sparai una battuta. Forse riferendomi a un fatto di cronaca avvenuto quel giorno tirai fuori due scimprori: Ranieri di Mogoro e lo Scià di Perfugas. Cavolate che si pensano in redazione, quando si è un po’ annoiati e non si vede l’ora di staccare e tornare un attimo a casa. Marco alzò gli occhi e rise come un ragazzino, perdendo per un attimo quel suo sguardo un po’ accigliato e triste. Ecco, ogni volta che penso a Mostalla mi viene in mente quella risata.

Leggi le altre notizie su www.cagliaripad.it