l Nord, il Blue, il Turk e il South Stream, lo Yamal e il Nord Stream 2 – sono i gasdotti ‘non allineati’ che portano il gas all’Europa dalla Russia tagliando fuori gli interessi degli Stati Uniti. E ora rispunta la storia di questo, il più temuto di tutti – il gasdotto che vuole portare il gas iraniano nel Mediterraneo passando per Iraq e Siria.
In Occidente viene spesso chiamato il ‘gasdotto islamico’ (the Islamic gas Pipeline), i governi coinvolti nel progetto lo chiamano invece il ‘gasdotto dell’amicizia’ (the Friendship Pipeline), altri semplicemente ‘il gasdotto Iran-Iraq-Siria. Un progetto che sembrava morto e sepolto dopo tutto quello che è successo in Siria e Iraq, e con tutte le sanzioni che incombono sull’Iran. Eppure, notizia proprio di questi giorni, il Ministro siriano dell’Elettricità Ghassan al-Zamil lo ha rievocato lasciando intendere che il progetto non è affatto abbandonato.
Parlando del tema che riguarda il suo ministero, Zamil ha osservato che la produzione di energia elettrica è seriamente diminuita in Siria a causa delle sanzioni e la riduzione delle importazioni di gas che serve per le centrali. Da 14 milioni di metri cubi a 8,5 per l’esattezza. Attualmente la Siria produce 2.700 megawatt di elettricità, di cui 1.000 megawatt distribuiti gratuitamente per finalità pubbliche, come ospedali. Ne servirebbero però molti di più.
Ed ecco la novità – Zamil rispolvera il vecchio progetto del gasdotto lasciando intendere che QUANDO verrà realizzato (non SE) si potrà arrivare a 5.000 megawatt di elettricità.
Niente di strano, apparentemente, una nazione sovrana che vuole semplicemente rifornirsi di gas costruendo un gasdotto. Ma qui non stiamo mica parlando di un gasdotto qualsiasi!
La storia del gasdotto ‘buono’ e del gasdotto ‘cattivo’
C’era un volta un gasdotto buono e un gasdotto cattivo. Quello di cui parla Zamil è il gasdotto ‘cattivo’, quello che “non s’ha da fare”, avevano detto i Bravi di Don Rodrigo.
È quel gasdotto per il quale nel 2011 erano stati formulati i primi protocolli di intesa e nel 2012 i ministri del petrolio iraniano, iracheno e siriano avevano firmato un accordo formale per portare il gas iraniano attraverso i tre paesi fino alla costa libanese sul Mediterraneo e, da lì, poi anche in Europa.
Un piano che escludeva definitivamente l’altro progetto, quello che piaceva invece agli Stati Uniti – il Qatar-Turkey Pipeline, il gasdotto che avrebbe dovuto portare il gas del fedele alleato Qatar fino in Turchia passando per Arabia Saudita, Giordania e Siria. Arrivato in Turchia si sarebbe dovuto poi connettere con il ‘Nabucco’, il gasdotto che porta il gas dall’Azerbaijan in Europa e che adesso si chiama Trans Adriatic Pipeline. Quel TAP che arriva in Puglia e che conosciamo bene. Ecco, quello sarebbe dovuto essere il gasdotto ‘buono’. Un gasdotto che fa concorrenza alla Russia e fa entrare in gioco gli alleati di Washington nel mercato europeo. Ma Assad disse – NO grazie, preferisco il gas dall’Iran.
Guardacaso l’anno 2012 è anche ricordato come l’anno in cui la ‘Primavera Araba’ in Siria si trasformò in una terribile guerra civile.
Coincidenze?
Se ricordate bene, agli inizi di quella guerra, qualcuno aveva provato ad abbozzare l’ipotesi che quel gasdotto c’entrasse qualcosa con l’origine del conflitto.
Qualcuno la domanda se l’era posta – ma perché tutto lo schieramento atlantico in blocco ha preso le parti dei ribelli, pur sapendo della preponderante presenza degli islamisti integralisti tra questi? E come mai un Paese come la Siria, poco tempo prima ritenuto una perla di integrazione e apertura, con un Presidente considerato un modello di cultura, e una First Lady chiamata dai media ‘La Rosa del Deserto’, ad un certo punto è stato additato a paria e una campagna mediatica tambureggiante gli si è scatenata contro? Ve li ricordate Bashar al-Assad e la moglie Asma invitati a tutte le corti d’Europa? E quando si incontrò con Napolitano, presentato come modello di civiltà? Poco dopo gli chiusero l’ambasciata e tutti i diplomatici siriani vennero cacciati da Roma come ‘persona non grata’.
In realtà, come cercava di spiegare Assad da tempo, gli attriti con l’Occidente erano iniziati ben prima della guerra civile, ma anche prima della scelta del gasdotto. In questa intervista che linkiamo vediamo lo stesso Presidente siriano spiegare a Charlie Rose per quale motivo le relazioni andassero peggiorando. Era il 2006.
E ora, che si fa?
Si ma che si farà se alla fine costruiranno proprio quel gasdotto lì? Con tutte le risorse spese tra rivoluzioni indotte in Siria, interventi militari in Iraq, sanzioni e intelligence in Iran, con tutti i giornalisti che ci hanno perso la faccia per sostenere il gioco, con tutto il tempo perso e il danno di immagine, come possono ora gli Stati Uniti e gli alleati accettare che, non solo non si realizzi il loro progetto, ma che addirittura si realizzi quello antagonista?
Come potranno mai accettare un Iran, accerchiato, sanzionato e che in tutti i modi si è cercato di umiliare, uscire trionfante con addirittura il suo gas su di un piatto d’argento pronto per l’Europa? E la Siria? Come si potrà accettare l’idea che si possa dire NO a Washington, Parigi, Londra, Bruxelles, Tel Aviv, Riyadh e alla fine farla pure franca?
Ma d’altra parte, oramai le carte sono state giocate tutte – quella del gas nervino è vecchia, quella dei diritti umani ha stancato e, soprattutto, d’inverno fa freddo, la gente vuole riscaldarsi e vuole bollette ragionevoli.
Accerchiatori accerchiati
E non c’è solo il pipeline Iran-Iraq-Siria, c’è anche il Nord Stream 2, il South Stream e tutti gli altri progetti per rafforzare le forniture russe in Europa. Dopo la crisi ucraina, la Russia ha capito bene che il gasdotto Soyuz e l’oleodotto Druzhba, che passano in Ucraina per arrivare in Europa, non sono una garanzia, anche lo Yamal, che passa prima in Bielorussia potrebbe finire nei guai, quindi hanno investito nei progetti che arrivano in Europa direttamente passando sotto i mari – il Nord Stream attraverso il Baltico, il South Stram attraverso il Mar Nero.
Sarà sufficiente il pretesto Navalny per impedire il raddoppio nel Nord Stream? E anche lì cosa fare? Rilanciare la posta o lasciare? Fino a che punto si potrà utilizzare una carta così poco convincente per indurre l’intera Europa a rinunciare a forniture dirette e tanto vantaggiose?
E con l’Iran? Prendere o lasciare? L’Iran dice che sono gli americani ad aver abbandonato unilateralmente l’accordo sul nucleare, quindi sono loro a dover fare ammenda, non l’Iran.
Come dire – guarda che piuttosto ci teniamo le sanzioni ma una questione di principio è una questione di principio. Quindi l’amministrazione Biden terrà duro e non la darà vinta o cederà?
E in Venezuela? Hanno nazionalizzato l’oleo extrapesado de l’Orinoco, il petrolio extrapesante dell’Orinoco, la più grande riserva di petrolio al mondo, gliela facciamo passare liscia a Maduro? E che fine fa allora la teoria della globalizzazione dei mercati se ci sono ancora Stati sovrani a resistere?
Non parliamo della Cina. Gli Stati Uniti si stanno giocando due carte deboli – Hong Kong e gli Uiguri. Il problema è che la gente comune oramai non è più sensibile a queste narrazioni sui diritti umani. Non gliene frega più nulla, quand’anche fosse vero quello che racconta il manistream (e non lo è). Quindi come contrastare un colosso in corsa come la Cina senza briscole vere in mano?
Certo, l’idea è sempre stata quella dello soffiare sui fuochi delle crisi interne degli altri paesi sperando che si indebolissero da soli. Ma oramai è l’Occidente quello soffocato dalle proteste interne, anche senza soffiarci sopra, è da noi che la gente inizia ad avere dubbi sulla tenuta delle proprie democrazie.
Il mondo sta andando per conto suo e il Nuovo Ordine Mondiale non funziona né con le buone, né con le cattive. Questo è quanto. Ci sono nazioni che stanno al gioco, e nazioni che vogliono rimanere sovrane. Nel prossimo immediato futuro Stati Uniti e alleati dovranno prendere una decisione. Insistere a voler imporre le proprie regole, o lasciar perdere e rassegnarsi al fatto che tanto ognuno alla fine si fa le pipeline che gli pare.
Fonte Sputnik.com