Davide Shorty

Non sono solo i suoi lunghi ricci sbarazzini ad attirare l’attenzione, ma soprattutto una consapevolezza di sé non comune, di certo aiutata dalla meditazione che pratica da qualche anno e da uno sguardo e da una mente aperti verso il mondo che lo circonda. Davide Shorty è uno degli otto giovani artisti in gara con il brano Regina tra le Nuove Proposte al Festival di Sanremo, che dopo qualche incertezza è stato confermato dal 2 al 6 marzo, pur se senza pubblico e tra stringenti misure di sicurezza.

Un festival blindato, che non ha mancato di accendere qualche polemica.

“La musica come spettacolo deve andare avanti, anche in questo momento critico. Non sarà facile esibirsi in una sala vuota e non poter avere nessun contatto umano, ma Sanremo è un pezzo di storia d’Italia e poi il nostro settore merita di essere trattato con dignità. Abbiamo una grande responsabilità”, sostiene il 31enne Shorty (che ha mutuato il suo nome d’arte dal cognome Sciortino) che si dice d’accordo con chi chiede la riapertura dei teatri. “Tra chi decide, servirebbero persone più competenti e una considerazioni diversa di chi è artista”, aggiunge lui, che da una decina di anni si è trasferito a Londra ed ha uno sguardo disincantato sull’Italia.

Né nostalgia, né dispiacere per aver abbandonato la sua Palermo. “Semplicemente sento che l’Italia, troppo conservatrice e con schemi troppo standardizzati che non aiutano la libertà di espressione, non è il posto giusto per me”. Londra invece porta con sé stratificazioni culturali e musicali che lo hanno affascinato e influenzato a livello umano e artistico. “Nella mia musica le influenze sono tante e varie: da Concato agli Earth Wind & Fire, passando per Anderson Paak e Jamiroquai. Londra mi fa bene, e per me rappresenta un grande esempio di melting pot, un luogo dove è possibile prendere il meglio dagli altri, con curiosità, tolleranza, rispetto”. Per lui che mescola il rap con il soul e il jazz – come nel brano che il cantautore, rapper e producer porta a Sanremo, scritto con Emanuele Triglia, Claudio Guarcello e Davide Savarese, prodotto e mixato da Tommaso Colliva, è una canzone d’amore, tra rap, soul, funk e cantautorato italiano, che racconta la storia di una giovane donna che si fa forza di fronte ai traumi e gli ostacoli che la vita le ha posto davanti – l’ispirazione che trae dalla matrice nera “è un modo per tributare il giusto omaggio” a una comunità apparentemente lontana, spesso “vittima di disuguaglianze”. “Nel 2021, la nostra società occidentale è ancora figlia del colonialismo. E il colore della pelle fa ancora differenza”.

Shorty non è certo un debuttante. Il suo nome circola già da un po’ e nel 2015 arrivò terzo a X Factor, ottenendo un discreto successo (e pubblicando l’anno successivo il suo primo vero album, Straniero, cui seguono con il collettivo torinese dei Funk Shui Project nel 2018 Terapia di Gruppo e nel 2019 La Soluzione). Ora riparte da Sanremo. “Né una sconfitta, né una rivincita. X Factor è stata una parentesi che ha avuto un contraccolpo pesante su di me. Mi ha stroncato, ma allo stesso tempo mi ha fatto capire che quel mondo non faceva per me, un mondo in cui il contorno è più importante del cuore delle cose. Indossavo panni non miei, ora ho cucito un vestito che mi calza a pennello. Ho imparato a volermi bene”. Davide Shorty non nasconde anche un periodo di depressione seguito al talent. Un anno e mezzo circa di buio. “Non me ne vergogno, può accadere a tutti e bisogna essere in grado di prendere provvedimenti per uscire dal loop di incertezze e insicurezze in cui si finisce”. A farlo riprendere è stata anche la scrittura. “Per tanto tempo mi sono sentito stupido, invece ero solo dislessico – racconta -. Avevo solo un modo diverso di processare le informazioni e così ho cominciato a giocare con le parole, quelle stesse parole che per una vita ho passato a rincorrere perché mi sfuggivano”.

Il rap, dunque. Quella capacità di “incastrare” le parole, come terapia. “Con la consapevolezza dei nostri errori e delle nostre imperfezioni, che ci rendono tutti un po’ simili. Ora mi sento più centrato e pronto ad accettare quello che succede nel bene e nel male”. Una capacità di andare a fondo, di scavare nell’io profondo che spera di mettere a frutto anche all’Ariston. “Sarà uno stimolo per imparare ad avere a che fare con parti di me che non controllo, a gestire l’emozione. Sanremo sarà il banco di prova per mettermi a confronto con le mie ansie e con la loro gestione”. Afferma di essere molto poco competitivo, “il confronto con gli altri non fa per me. Siamo tutti diversi, con identità e storie di vita differenti. Mi interessa la condivisione più della vittoria. Esserci è già un onore”. La chiave però che lo ha portato fin sul palco dell’Ariston “è un brano di vita vissuta, senza alcuna strategia di business. Mi avevano detto che Regina era un brano troppo raffinato, ma non è vero ed è bello sapere che c’è spazio anche per la complessità”.