Potrebbe fuggire Cecilia Marogna, la manager coinvolta nell’indagine vaticana sull’ex numero due della Segreteria di Stato, il cardinale Angelo Becciu, arrestata a Milano il 13 ottobre su mandato dell’autorità giudiziaria della Città del Vaticano. E’ la permanenza del pericolo di fuga, da quanto si è saputo, uno dei motivi su cui si fonda il parere negativo della Procura generale milanese alla richiesta di scarcerazione presentata dalla difesa della 39enne cagliaritana. Tra l’altro, da quanto si è appreso, la Procura generale (parere scritto del sostituto pg Giulio Benedetti, in aula Laura Gay) ha fatto presente alla Corte d’Appello che il Vaticano ha integrato e precisato le imputazioni a carico della donna, chiarendo che è accusata non solo di appropriazione indebita aggravata ma anche di peculato.
La Procura generale nel mettere in evidenza il pericolo di fuga ha sostenuto che la difesa, tra l’altro, non ha chiarito nemmeno in quale domicilio, tra Milano e la Sardegna, la donna potrebbe stare nel caso in cui le venissero concessi i domiciliari.
Per quanto riguarda la contestazione di peculato, poi, nelle carte che il Vaticano inoltrerà ai magistrati milanesi e relative al procedimento di estradizione (udienza non ancora fissata), le autorità dovranno precisare perché la donna era qualificata come pubblico ufficiale e quale incarico avesse. La 39enne si è sempre definita un’esperta in relazioni diplomatiche che era in grado, sempre a suo dire, di tutelare la Santa Sede in contesti difficili come in Africa e Medio Oriente. In relazione alla contestazione della difesa, che sostiene che Marogna non poteva essere arrestata “dato che l’accordo tra Italia e Vaticano consente l’estradizione dal Vaticano all’Italia, ma non quella dall’Italia al Vaticano”, è stato fatto notare in Procura generale che di solito le convenzioni bilaterali internazionali sono reciproche e le estradizioni sono possibili ‘in entrambi i sensi’.