Si commemora oggi il secondo anniversario dell’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi nel consolato di Riad a Istanbul, ad opera di una squadra di killer inviata dall’Arabia Saudita. Diversi sono gli eventi organizzati per ricordarlo, tra cui un sit-in di Reporters sans Frontières e Amnesty International davanti alla nuova sede del consolato del Regno. Secondo gli investigatori turchi, il corpo del 59enne editorialista del Washington Post venne fatto a pezzi. I suoi resti non sono mai stati ritrovati.
Il reporter, un tempo vicino ai vertici di Riad, era diventato uno dei più autorevoli critici del principe ereditario del Regno, Mohammed bin Salman, noto come Mbs. Khashoggi si era recato nella sede diplomatica per ottenere i documenti necessari alle nozze con la ricercatrice turca Hatice Cengiz.
Il mese scorso si è concluso in Arabia Saudita il processo d’appello contro 8 persone, condannate a pene da 7 a 20 anni, dopo che i familiari del cronista avevano perdonato i killer, aprendo la strada alla commutazione delle 5 condanne a morte inflitte in primo grado. In Turchia è invece iniziato a luglio un processo contro 20 presunti membri dello ‘squadrone della morte’, tra cui due fedelissimi di Mbs, l’ex consigliere per i media Saud al-Qahtani e l’ex numero 2 dell’intelligence Ahmed al-Assiri. A questi potrebbero aggiungersi altri 6 sospetti, incriminati nei giorni scorsi. Tutti sono però imputati in contumacia, dopo che Riad ne ha negato le estradizioni. “I recenti verdetti nel processo saudita sono una parodia di giustizia che la comunità internazionale non dovrebbe accettare”, ha denunciato Barbara Trionfi, direttrice esecutiva dell’International Press Institute. Dure critiche ai processi sono giunte da molti osservatori internazionali e dalla relatrice speciale dell’Onu sul caso, Agnes Callamard.