I resti ritrovati qualche giorno fa in una spiaggia di Cala Gonone non sono attribuibili alla foca monaca, ma piuttosto a un quadrupede terreste come per esempio un felino. E’ il responso di Emanuele Coppola, responsabile della onlus che studia questo raro mammifero marino nel Mediterraneo, dopo aver analizzato le foto della carcassa scattate dalla donna che l’aveva trovata scorso passeggiando sul litorale. Impossibile lavorare sui resti: quando la mattina successisa alla segnalazione sono arrivati sul posto gli esperti del corpo forestale, erano già stati portati via dalla risacca.

“Ho ricevuto le fotografie originali solo ieri sera e mi sono bastati pochi secondi per capire che non siamo di fronte ai resti di una foca monaca – spiega Coppola – Ci sono due dettagli sufficientemente chiari nel cranio scoperchiato dell’animale in seguito allo stato di decomposizione: negli esemplari di foca monaca le fosse nasali sono posizionate in alto vicine alle orbite degli occhi e il cranio presenta una sorta di cresta nella parte posteriore. Entrambe queste due caratteristiche nella foto non c’erano e da ciò che ho visto posso dire che si tratta quasi certamente del cranio di un quadrupede terreste, direi di un felino e più probabilmente di un gatto”, assicura l’esperto. “La confusione fatta a Cala Gonone – chiarisce Coppola – è dovuta alla forma cilindrica dell’animale ritrovato, che nello stato di decomposizione ha perso gli arti e ha dato a quei resti la forma di un mammifero marino”.

Nessun ritorno, quindi, della foca monaca in queste acque del golfo di Orosei, abitate soprattutto nella grotta del Bue marino sino alla fine degli anni Settanta, poi l’animale fu dichiarato estinto. “Speriamo di non trovare mai questi mammiferi morti – commenta l’esperto – Tuttavia, anche nel caso si fosse trattato di un esemplare di foca monaca in decomposizione non avrebbe significato il ritorno del mammifero in Sardegna: più probabile invece l’arrivo dei resti a seguito di una mareggiata. La foca monaca esiste ancora nel Tirreno centrale come in alcune isole dell’arcipelago toscano – precisa l’esperto – quindi niente di strano che possa arrivarne qualcuna anche in Sardegna. Dobbiamo però prepararci al meglio a un possibile ritorno, e le gli enti locali devono lavorarci: dopo un eventuale avvistamento l’intervento deve essere tempestivo e sicuro, sapendo in anticipo cosa fare e quali professionisti coinvolgere. Come onlus – annuncia – siamo disponibili a ragionare con la Regione Sardegna e offrire qualsiasi informazione in nostro possesso”.