La Guardia di Finanza ha arrestato otto persone e notificato il divieto di dimora nel comune di Palermo ad altre due accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori aggravato dal favoreggiamento mafioso.

L’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo guidata dal procuratore Francesco Lo Voi, ha svelato gli interessi dei clan nel settore dei giochi e delle scommesse sportive e ha svelato le complicità di alcuni imprenditori che avrebbero riciclato il denaro sporco per conto dei boss. Sequestrate attività economiche e beni per oltre 40 milioni.

Personaggi chiave dell’inchiesta sono l’imprenditore Francesco Paolo Maniscalco, in passato condannato per mafia ed esponente della “famiglia” di Palermo Centro, e Salvatore Rubino che per conto dei clan avrebbe riciclato il denaro. Gli inquirenti hanno ricostruito il modo in cui le cosche si infiltravano nell’economia “legale” controllando imprese, gestite occultamente da loro uomini di fiducia. Come Vincenzo Fiore e Christian Tortora che, partecipando a bandi pubblici, avevano ottenuto le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive.

A consentire l’espansione sul territorio della rete di agenzie scommesse e di corner gestiti dalle imprese vicine alla mafia sarebbero stati i clan di Porta Nuova e Pagliarelli. Quest’ultimo avrebbe garantito l’apertura di centri controllati dal mafioso Salvatore Sorrentino. Dietro l’operazione c’era anche la cosca di Porta Nuova che reimpiegava i soldi guadagnati dagli investimenti nelle agenzie per mantenere gli affiliati mafiosi detenuti e per far avere un “vitalizio” ai familiari di Nicolò Ingarao, boss assassinato anni fa.

Coinvolti nell’affare anche i “mandamenti” della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria di Gesù e Belmonte Mezzagno e San Lorenzo, che avrebbero dato l’ok per l’apertura di centri scommesse nei loro territori. Le operazioni economiche sarebbero state pianificate nel corso di summit a cui avrebbero partecipato anche i massimi vertici del mandamento di Pagliarelli: Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, arrestati nei mesi scorsi.

Negli anni, grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla “vicinanza” alla mafia, gli indagati avrebbero acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un impero economico costituito da imprese, formalmente intestate a prestanome compiacenti come Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo, che nel tempo sono arrivate a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro. Il gruppo imprenditoriale indagato, nelle ultime settimane ha acquistato, nel quartiere Malaspina, senza necessità di ricorrere a finanziamenti bancari, un immobile usato come ufficio amministrativo di una delle società del gruppo, e un’agenzia scommesse, entrambi ora sequestrati.

“Colpire gli interessi economici di Cosa nostra deve essere un’azione sistematica e complementare rispetto al tradizionale contrasto di tipo militare. Lo scopo è limitare la pericolosità criminale che deriva dalle riserve di capitali illeciti che possono essere impiegati per ripristinare l’operatività della struttura mafiosa colpita dagli arresti”. Così Gianluca Angelini, comandante del Nucleo Operativo Economica e Finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo, commenta l’operazione che ha portato all’arresto di 8 mafiosi e ha svelato gli interessi economici delle cosche palermitane nelle agenzie che gestiscono i giochi e le scommesse sportive. Un business stimato dagli inquirenti in 100 milioni di euro l’anno. “L’obiettivo è sottrarre al mafioso ogni beneficio economico derivante dalla propria azione criminosa. Oggi più che mai per scovare Cosa nostra bisogna seguire il denaro e i flussi finanziari”, conclude.