Una Fase 2 dell’emergenza improntata a regole uguali per tutte le regioni comporta un doppio problema: “Alcune aree del Paese dovranno sottostare a restrizioni eccessive, che favoriscono autonome fughe in avanti, come dimostra il caso Calabria. Per altre, la riapertura avverrà sul filo del rasoio perché dei 4,5 milioni di persone che torneranno al lavoro la maggior parte si concentra proprio nelle Regioni dove l’epidemia è meno sotto controllo”. Questo il commento di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, rispetto al dpcm del 26 aprile che prevede un programma di riaperture di attività omogeneo per tutto il territorio nazionale.
“A 4 giorni dall’avvio della fase 2 – afferma Cartabellotta, – il nostro monitoraggio indipendente sulle variazioni settimanali documenta un ulteriore alleggerimento del carico degli ospedali e in particolare delle terapie intensive. Tuttavia, sul fronte di contagi e decessi, nonostante il progressivo rallentamento, il numero dei nuovi casi non ha raggiunto quella prolungata stabilizzazione propedeutica alla ripartenza secondo le raccomandazioni della Commissione Europea”.
Se da un lato la Fondazione Gimbe condivide il principio di graduale riapertura del Governo, dall’altro rileva che l’avvio della fase 2 “non rispecchia il principio della massima prudenza perché non tiene in considerazione le notevoli eterogeneità regionali delle dinamiche del contagio”. Nella settimana 22-29 aprile infatti l’80% sia dei nuovi casi sia dei nuovi decessi si concentra in sole 5 regioni: Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Liguria”. Mentre le Regioni del Centro (eccetto le Marche) e soprattutto del Sud “hanno prevalenza e incrementi percentuali sotto la media nazionale”.