Chi è Banksy?
Sul serio dietro di lui si cela Damien Hirst?
Sul serio è Robert del Naja, frontman e fondatore dei Massive Attack?
Sul serio è un artista dai quasi otto milioni di follower su Instagram critico verso il sistema economico dell’arte imperante?
Tantissimi lo amano, io no, sono intollerante alla sua produzione artistica, le sue facilonerie mi provocano l’orticaria.
Prima d’essere un attempato docente di mezz’età, ho avuto un passato d’artista attivista, uno di quelli che negli anni novanta si formavano tra una qualsiasi Accademia di Belle Arti di una città metropolitana (che non può essere Cagliari) e dei centri sociali occupati, ero (e sono restato) molto critico verso le bolle speculative che il sistema dell’arte scaraventa sul lavoro degli artisti contemporanei.
Col senno dell’attempato professore di mezza età, trovo l’operazione Banksy una grossa speculazione economica finanziaria.
Perché?
Negli anni novanta facevo irruzione con il mio collettivo di giovanissimi artisti, in gallerie private e musei d’arte contemporanea, prendevamo in ostaggio lo spazio armati di pistole giocattoli e passamontagna, e denunciavamo come questi spazi avessero poco a che fare i reali processi linguistici del fare arte contemporanea.
Oggi quell’attivismo anni novanta si è diffuso e viaggia attraverso il web, mi sembra sia addirittura diventato un bacino di marketing in tempi di critica generalista e populistica diffusa che viaggia via social network, criticare il sistema è diventata una password creativa per accreditarsi globalmente, accomunando dall’alto della propria forza economica e di comunicazione universi territoriali locali, frammentati in ogni dove, di addetti ai lavori critici globalmente interconnessi.
Banksy passa per essere un genio assoluto di questo millennio, io lo rappresento come qualcosa d’equipollente a una multinazionale che si occupa di strategie di web marketing, qualcosa di simile alla Casaleggio associati applicata al sistema dell’arte, mi pare sprovvisto di una grammatica dell’arte e di un linguaggio artistico maturo, identitario e strutturato, sembra essere l’artista della porta accanto, banalmente accademico, quello che non ha mai concluso il triennio di formazione di primo livello in un’Accademia di Belle Arti con un linguaggio infarcito di luoghi comuni massmediatici virali.
Esagero?
Partiamo dalla tragedia del momento presente, dramma globalizzato e interconnesso più capillare, diffuso e penetrante nei territori di Mac Donald’s o dell’Adidas, mi riferisco ovviamente alla pandemia del Covid 19.
Banksy come si è relazionato a questa catastrofe?
Doveva cavalcarla!
Le news massmediali virali, sono da sempre funzionali alla sua quotazione di mercato, che in tal maniera passando per le case d’asta internazionali ne alimentano la bolla economica.
Banksy ha pubblicato sul suo account Instagram di quasi otto milioni di follower, il suo bagno, saturo d’ interventi street artistici, si è rappresentato come tutti nel suo studio laboratorio, impossibilitato a evadere dai suoi domiciliari, come tutti gli artisti del pianeta terra viventi, ha manifestato il vincolo della sua creatività agli arresti domiciliari, arrestato proprio come decine e centinaia di migliaia d’artisti che via social network, non possono fare altro che raccontarsi da casa.
Banksy non è però proprio uno dei centinaia di migliaia d’artisti contemporanei che vivono via social network, tra una trovata mediatica e l’altra e sempre sulla cresta dell’onda della battitura d’asta di Sotheby’s, perché manifestarsi in tutta la sua banalità?
Qual’è la differenza tra la sua modalità narrativa del come sta affrontando il Covid 19 e un Fiorello qualunque che ci dice che stare a casa è bello?
Quale artista da casa in questo momento non posta il suo spazio privato di lavoro in attesa di mostrare il suo lavoro in pubblico e ripartire?
Il successo di Banksy mi pare sia tutto nella banalità dei concorrenti del Grande Fratello e nella frustrazione di chi l’osanna all’unisono, lui s’impone dall’alto del suo valore di mercato e afferma e conferma ciclicamente il suo successo in virtù della banalità creativa e del luogo comune.
Banksy lavora proprio come l’artista della porta accanto, in questa maniera sembra avere convinto gran parte degli artisti banali come lui (la stragrande maggioranza) che possano avere il suo stesso successo di critica, senza fargli interrogare su come il suo successo di critica sia da vincolare alla banalità della critica diffusa generalizzata incapace d’argomentare e capace solo d’osannare e di demolire.

L’opinione di Mimmo Domenico Di Caterino