Trent’anni di reclusione. Questa la condanna decisa per Peppuccio Doa, l’86enne di Arzana accusato del duplice omicidio dei fratelli Andrea e Roberto Caddori, di 43 e 46 anni, assassinati a colpi di pistola il 10 giugno 2016 a seguito di una lite per l’eredità. Dopo una camera di consiglio di un’ora, la Corte presieduta dal giudice Giovanni Massidda (a latere Giorgio Alteri) ha accolto per intero la richiesta di pena del pubblico ministero Nicola Giua Marassi.
E’ stato invece condannato a tre anni per favoreggiamento il genero dell’imputato, Massimiliano Sumas, 45 anni, difeso dall’avvocato Herika Dessì: avrebbe rilasciato una testimonianza non veritiera pochi giorni dopo il fatto di sangue. Nella sua arringa il difensore di Doa, avvocato Pier Luigi Concas, ha cercato di minare la ricostruzione dell’accusa, sostenendo che il duplice omicidio avesse all’origine un eccesso di legittima difesa, cioè che l’imputato fosse stato aggredito dai due fratelli chiamati a seguito di un litigio tra l’anziano e la loro sorella: quest’ultima, insieme alla madre, accudiva come badante Maria Doa, sorella del condannato, e aveva la procura per i suoi conti bancari e altri immobili.
Il movente dei due delitti sarebbe legato ad una contesa sull’eredità della sorella di Doa: il pensionato sospettava che stesse per intestare tutti i suoi beni alle badanti, escludendolo quindi dalla successione. Durante l’ennesimo litigio, la donna aveva chiamato in aiuto i due fratelli: la discussione era subito degenerata e alla fine l’anziano aveva esploso quattro colpi di pistola calibro 7.65, due ciascuno all’indirizzo dei rivali, uccidendoli entrambi. Doa si era quindi dato alla fuga, consegnandosi alle forze dell’ordine soltanto alcuni giorni dopo il fatto.