alzheimer testimonianza cagliari

“Ti prego non mi lasciare, te lo chiedo ora perché domani forse non so chi sarai. Ma se non ti riconosco non lasciare che pianga da sola”. Sono le parole di R., una donna di appena 56 anni malata di Alzheimer, raccolte e condivise da Maria Stefania Putzu, presidentessa dell’Associazione Alzheimer Cagliari.

Quando arriva il momento di chiedere aiuto

La testimonianza è una richiesta di aiuto che arriva dalla consapevolezza di essere malati e dal senso di sopraffazione che investe chi capisce che le cose non saranno più come prima: l’esperienza maturata in questa vita non basterà per sentire ancora di “esistere e ritrovare sé stessi“.

 “Ho solo 56 anni, aiutami! C’è qualcosa che non va…mi hanno parlato dell’associazione …”. La ricerca di un aiuto rappresenta una svolta, una consolazione per il malato, un nuovo punto di partenza di un cammino incerto, che non si sa dove porterà.

Le parole di R. sono una testimonianza senza filtro, senza intermediazione di chi pretende, da non malato, di capire cosa si provi ad essere consapevoli del deterioramento delle proprie capacità, ad assistere inermi alla scomparsa delle più elementari facoltà.

Parole preziose come l’oro per chi vuole interrogarsi sui chiaroscuri di una malattia che toglie tutto, che inizia giocando con la memoria del malato e finisce lasciando un intero nucleo familiare stremato, svuotato, senza più lacrime da versare.

R. si confida e affida a Maria Stefania i suoi pensieri più intimi e disperati.

L’Alzheimer visto da chi ce l’ha? Eccolo. Ve lo proponiamo in tutta la sua drammaticità, in un modo crudo e delicato allo stesso tempo, nella speranza che possa aiutarvi a capire quanto sia importante il ruolo della società nel mantenimento dell’unica cosa che non può e non deve crollare in un essere umano: la dignità.

Quel pianto invisibile e silenzioso

“In fondo, che ne sa la gente del pianto invisibile e silenzioso che hai provato e che provi quando nessuno si accorge nemmeno della tua presenza? Se sbaglio, se soffro, se ho paura perché non capisco più come prima”.

Potrei tranquillamente affermare che ormai ho perso il calcolo delle volte in cui nessuno si è accorto della mia sofferenza, delle mie lacrime, del mio dolore, e delle volte in cui ho dovuto cercare un motivo per rialzarmi, per cercare di sorridere ancora, per tentare di trovare una soluzione a tutto quel dolore che sentivo dentro e che non mi permetteva di capire, non mi permetteva di ragionare. Ma in fondo, la gente che ne sa? Che ne sanno le persone delle volte in cui ti ritrovi da solo a piangere nel silenzio, quando nessuno lo sa o non se ne accorge, e tu resti fermo, con il tuo dolore così intimo ma che pretende, così prepotentemente, di essere ascoltato, a qualunque costo, anche a costo di farti singhiozzare, anche a costo di provare un dolore così assurdo che non ti spieghi, che non riesci neppure a concepire o a comprendere, ma che ti ritrovi, ugualmente, a provare, anche se a volte non ne capisci il motivo. È il pianto delle persone sole, ma anche di quelle che sentono tutto il dolore e la responsabilità della vita che vivono. Un pianto neppure tanto diverso da quello di dolore nascosto da due lenti da sole, lungo pomeriggi eterni, in domeniche pomeriggio assolate e deserte, quando eri e sei l’unico, per la strada, a cercare di esistere, a cercare di far qualcosa, a cercar di ritrovare te stessa, o, forse, a cercare chi non c’è più e chi ha deciso di non voler più esistere. Insomma, di tutto questo, la gente che ne sa? Cosa può capirne mai, la gente, del tuo dolore? Ti prego non mi lasciare, te lo chiedo ora perché domani forse non so chi sarai. Ma se non ti riconosco non lasciare che pianga da sola”.

L’ascolto è una delle attività cardine dell’associazione, il punto di partenza di tutto. Maria Stefania ascolta, tiene la mano di R. e sa che nella sua testa la programmazione, il se e forse, il domani e le promesse non hanno più valore perché scadono il secondo successivo. Il momento presente è tutto.

Le sorride e cerca di tranquillizzarla: “Domani vedremo, viviamo oggi!”.