Per una donna, lavorare e fare figli in Italia può essere un calvario. Lo stato, le aziende, la cultura dominante, nonostante leggi, programmi, discorsi e sforzi recenti , sono ancora tarate su un modello culturale maschile e patriarcale. Se le donne vogliono lavorare, devono essere come gli uomini. Cioè, pensare solo al lavoro e non ai figli. Meglio se non ne fanno del tutto. E’ un’Italia ipocrita e arretrata quella che viene raccontata in “Non è un paese per mamme”, il libro della giornalista Paola Setti per All Around.
Genovese trapiantata a Milano, dopo che ha fatto due figli ha chiesto un po’ di elasticità al direttore del suo giornale, per conciliare lavoro e bimbi piccoli, non trovandola, alla fine si è licenziata, scoprendo successivamente di non essere certo un caso unico. Così, Paola ha cominciato a raccogliere dati e testimonianze sulla condizione delle madri lavoratrici in Italia. E il risultato della sua inchiesta sul campo è demoralizzante.
“La legislazione ci sarebbe pure – scrive la giornalista -. Quella che manca è la pratica. Cioè, in ultima analisi, la cultura”. E giù con testimonianze di madri che hanno dovuto lasciare il lavoro dopo aver partorito: mobbizzate dai datori e dai colleghi che non le aiutano (se va bene) o le prendono di mira (se va male) (“tu vorrai mille permessi, uscire prima, entrare dopo”), subito licenziate se hanno posti precari, senza l’aiuto di nidi aziendali (inesistenti) e pubblici (rarissimi), senza telelavoro (che aiuterebbe), con mariti spesso poco propensi (per cultura atavica) a dividere la cura dei figli.
Quelle che resistono, fanno sforzi eroici e sovrumani, aiutate solo dai genitori (chi ce li ha vicini), a loro volta schiavizzati dai nipoti e dalle figlie. Ma molte lasciano. Nel 2018 le donne che hanno dato le dimissioni sono state 30.672, la maggior parte per l’impossibilità di conciliare lavoro e figli.
Quelle che restano in azienda, spesso rinunciano alla prole. Il 57% dei dirigenti donne non hanno figli, contro il 25% dei dirigenti maschi.
In Italia, scrive Setti, lo stato dà solo il 2% del Pil alle famiglie, contro il 4% della Francia ad esempio. “Ma allo stato fa comodo avere le donne a casa, perché creare asili e case per anziani costa, mentre il lavoro di cura casalingo è gratuito. Le donne hanno ottenuto la parità, ma una parità a misura d’uomo – è il commento finale dell’autrice -. Devono essere come gli uomini, uniformarsi a un modello maschile. Invece servirebbe un mondo del lavoro orientato su un modello genitoriale”.