Giuseppe Conte ha pronta la proposta di revoca di Armando Siri da far firmare al Capo dello stato a meno che il sottosegretario non si dimetta nelle prossime ore.
In ogni caso, a meno di colpi di scena dell’ultima ora, il governo non cadrà per questo. Anche se nulla, probabilmente, sarà più come prima.
Luigi Di Maio e Matteo Salvini si avviano al Consiglio dei ministri, dove il premier annuncerà formalmente le sue mosse,armati fino ai denti.
E al termine di una vigilia che, sull’onda delle inchieste che scuotono la politica, li vede impegnati nell’ennesimo, durissimo, botta e risposta.
Per tutta la giornata ieri il leader M5S attacca, chiedendo alla Lega di non andare alla conta: che sarebbe puramente simbolica dal momento che non decide il Consiglio ma direttamente il premier sulle sorti del sottosegretario. I Cinque Stelle e Giuseppe Conte si assumeranno la responsabilità delle dimissioni, è il muro alzato dal vicepremier leghista. Che va oltre, e parla di “evidente spaccatura” con il M5S “non solo sul caso Siri”. E alza il tiro annunciando di voler porre sul tavolo della riunione flat tax e autonomia.
E’ questo il clima con cui i ministri si siederanno al Cdm convocato alle 9:45. Il capo del governo, come ha ripetuto più volte, ritiene il caso Siri chiuso. Ovvero, ritiene la revoca ormai cosa fatta ed è questa la proposta che farà se, in queste ultimissime ore, Siri non farà un passo indietro spontaneo.
Con un’appendice: il voto in Cdm sulla proposta di revoca non é né necessario né vincolante. La legge prevede che la proposta arrivi dal presidente del Consiglio di concerto con il ministro competente, “sentito” il Cdm. Non è assolutamente detto, quindi, che la famigerata conta ci sia. Ed è escluso, comunque, che possa essere verbalizzata.
Certo, Conte è chiamato a chiedere, anche informalmente, un parere al Consiglio dei ministri. Ed è lì che, stando alle dichiarazioni bellicose di Di Maio e Salvini, si produrrà uno scontro senza precedenti. Tanto che c’è chi, come per esempio il costituzionalista Marco Olivetti, individua nella spaccatura interna all’organo collegiale di governol’anticamera della caduta dell’esecutivo.
Per tutta la giornata, ieri a Montecitorio, il clima è stato piuttosto pesante. L’ondata di arresti e indagati colpisce innanzitutto FI e Pd e, in quest’ultimo caso, produce un nuovo colpo alla linea di Nicola Zingaretti: il rinnovamento del partito impresso dal segretario dopo il caso di Catiuscia Marini è chiamato ad affrontare anche quello di Mario Oliverio. Di certo, le inchieste lombarde e calabresi danno il là a Di Maio e al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, per una conferenza stampa durissima sul tema della corruzione. “Redimetevi, Tangentopoli non è finita”, sono le parole con cui Di Maio, ritornando alle battaglie delle origini, si rivolge a Pd, FI e soprattutto alla Lega.
Perché è sul caso Siri che Di Maio batte ormai da giorni, galvanizzato anche dalla risposta che sta avendo sui sondaggi. “Il 70% degli italiani è per le dimissioni”, spiega, non a caso, il leader del M5S chiedendo spiegazioni alla Lega anche della vicenda del mutuo acceso da Siri per la palazzina di Bresso e puntando il dito proprio contro Salvini: sul sottosegretario “è lui a sbagliare”, visto che “alcuni parlamentari della Lega preferirebbero le dimissioni”, sottolinea. “Le decisioni della politica non hanno nulla a che fare con i tempi della giustizia”, gli fa eco il Guardasigilli.
E Salvini alza la posta annunciando di portare in Cdm flat tax, e autonomie. E riproponendo il tema dei cantieri, tre dossier con cui vuole diversificare i toni dello scontro. Tant’è che fonti del governo M5S rilanciano: “La Lega vuole rompere, lo sbloccacantieri può essere un pretesto, e sulla flat tax fa becera propaganda”.