Sull’Ile de la Cité, in mezzo alla Senna, il cielo di Parigi è ancora drammaticamente illuminato dalle fiamme di un incendio che sta distruggendo il tetto, la guglia e gran parte delle torri campanarie della cattedrale di Notre-Dame, il monumento più visitato del Paese e d’Europa. E’ un incendio devastante e non è certamente il primo nella storia della cattedrale, capolavoro gotico e simbolo della capitale francese, ma le foto e i video che rimbalzano sui social rendono l’evento ancor più drammatico e scioccante. Il pensiero va subito alla bellezza e alla storia della cattedrale, monumento iconico e popolare dell’arte, del cinema e della letteratura. 

La costruzione di Notre-Dame cominciò nel 1163 e finì due secoli dopo con la realizzazione di un’imponente chiesa a croce latina con vetrate preziose, sculture, bassorilievi, guglie, tele e tesori d’arte sacra. E con una serie infinita di rifacimenti: nel 1200 per rinnovare le navate, nel 1220 per sistemare la facciata, nel 1250 per innalzare le torri campanarie, nel 1638 e nel 1771 per due diverse ristrutturazioni fino al conclusivo restauro nel 1864 dell’architetto Eugène Viollet-le-Duc, che riscoprì il gotico francese. Quasi sempre i rifacimenti servirono per riparare i danni provocati dagli incendi e dalle devastazioni della Rivoluzione Francese. E’ proprio in quel periodo che la cattedrale venne profanata dai rivoltosi che sequestrarono gli arredi sacri e le campane per utilizzarne oro e bronzo e issare sull’altare maggiore, al posto della statua della Madonna, mademoiselle Maillard, una cantante di periferia. Dopo la Rivoluzione arrivò Napoleone che riportò in auge la cattedrale dove decise di autoincoronarsi. Notre-Dame fu spesso testimone di importanti episodi storici, soprattutto di matrimoni e di beatificazioni come quella nel 1909 di Giovanna D’arco, eroina nazionale, fino al 1944 quando Charles De Gaulle entrò in chiesa per “santificare” la liberazione della Francia durante la seconda guerra mondiale.

All’interno sono le vetrate a raccontare la bellezza artistica della cattedrale: i primi grandi maestri furono gli artigiani di Sugerio, l’abate di san Dionigi, che voleva le chiese inondate di luce; ma furono numerosi gli artisti che vi lavorarono fino al 1936 quando vennero create le ultime vetrate. Il rosone della facciata, del diametro di quasi 10 metri, è diviso in tre anelli concentrici nei quali, attorno alla Madonna con il Bambino, sono raffigurate le virtù, i vizi, i segni zodiacali, i lavori della terra e i profeti. I vetri dei rosoni a nord e a sud, molto più grandi, vennero realizzati da Jean de Chelles e Pierre de Montreuil, maestri vetrai di Luigi IX, e raccontano episodi dell’Antico Testamento e della storia di Cristo con gli apostoli e gli angeli; bellissime sono anche le vetrate delle cappelle laterali, volute da Viollet-le-Duc. Tra i tanti tesori che impreziosiscono Notre-Dame spiccano la corona di spine di Gesù, una pala d’altare di Guido Reni e l’organo sotto il rosone ovest con le sue 8mila canne che hanno regalato emozionanti concerti ogni domenica pomeriggio.

Nei secoli la cattedrale è stata dipinta e raffigurata da pittori e artisti di ogni parte del mondo; nel 1831 un giovane e sconosciuto scrittore, il francese Victor Hugo, le tributò un omaggio nel romanzo “Notre-Dame de Paris”, che racconta la storia d’amore tra Quasimodo, il gobbo campanaro, e la bellissima zingara Esmeralda. Il successo fu immediato e il cinema ne fece tanti capolavori: nel 1923 uscì la prima pellicola sul tema, “Il gobbo di Notre-Dame”, che il regista Wallace Worsley dedicò al tragico personaggio di Quasimodo «quell’essere straordinario», aveva scritto Victor Hugo, «che faceva palpitare le vecchie pietre della cattedrale». Poi, nel 1939, ne uscì un altro, realizzato dal regista William Dieterle con lo stesso titolo; una terza versione arrivò nel 1957 con Antony Queen e Gina Lollobrigida come protagonisti e una quarta nel 1982 con l’attore Antony Hopkins. L’ultima, nel 1996, è un remake firmato dalla Walt Disney e nel 1998 ne fu fatta una versione musicale, scritta da Luc Plamondon con la musica di Riccardo Cocciante.