Il Cd ha quarant’anni, ma non se li porta molto bene. L’8 marzo del 1979 la Philips presentava il primo compact disc, destinato a rivoluzionare l’ascolto e anche la memorizzazione digitale delle informazioni. Ma il supporto è ormai in declino per l’arrivo dei nuovi formati ‘immateriali’ come lo streaming e anche per la spinta dei predecessori, vinili e cassette, che paradossalmente sono tornati in auge. Un declino sancito in Italia dall’uscita del Cd dal paniere Istat, che annovera i beni e i servizi più acquistati. E negli Stati Uniti, dalla chiusura dell’ultima fabbrica che li produceva nel 2018.
Di fatto la progettazione del Cd nella sua configurazione definitiva risale al 1979 e si deve ad una joint venture della Philips con l’azienda giapponese Sony, che già dal 1975 stava sperimentando in modo indipendente la tecnologia per un disco ottico digitale. Un accordo tra la casa giapponese e quella olandese portò alla definizione dello standard per il compact disc, che prevedeva dischi di 12 centimetri e una risoluzione di 16 bit, e al lancio definitivo. A sancire il ‘matrimonio’ fu il direttore d’orchestra Herbert Von Karajan che con i Berliner Philharmoniker è protagonista del primo disco registrato con il nuovo formato, mentre il primo album pop pubblicato su questo supporto è 52nd Street di Billy Joel. Nel 1990 l’intero settore dei Cd supera i 33 giri. Nel 2007, quando già l’mp3 è una realtà da diversi anni, si contano 200 miliardi di compact disc venduti nel mondo. L’avvento dell’mp3, di piattaforme come Napster e successivamente lo streaming di Spotify determineranno il declino del Compact disc, mai amato davvero dagli appassionati di musica per la qualità del suono, con il 2015 che verrà ricordato come l’anno in cui i formati ‘immateriali’ hanno superato quelli fisici.